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Cronaca Selvazzano Dentro

Spara e uccide il padre: "Era il mio migliore amico, non volevo", ma il giudice non gli crede

Le dichiarazioni rese dal figlio non convincono il gip del tribunale dei minori di Venezia, Valeria Zancan, che non ha convalidato il fermo, ma ha firmato un'ordinanza di custodia cautelare in carcere per il minore, motivata dalla possibilità che il ragazzo reiteri il reato

"Papà era il mio migliore amico, sapeva tutto di me, anche che andavo male a scuola. Volevo solo fargli uno scherzo, non volevo ucciderlo. Sono scappato perché mi sono spaventato". Continua a ripetere che si è trattato di "un incidente", il figlio 16enne di Enrico Boggian, l'imprenditore di 52 anni morto venerdì scorso nella sua abitazione di Selvazzano Dentro, ucciso da un colpo di fucile sparato dal ragazzo.

"POTREBBE UCCIDERE ANCORA". Arrestato sabato scorso, martedì il giovane è stato sentito, alla presenza del suo legale Ernesto De Toni e del pubblico ministero Monica Mazza, dal gip del tribunale dei minori di Venezia, Valeria Zancan, che - come riportano i quotidiani locali - non avrebbe creduto ad una sola delle parole pronunciate dall'adolescente. Il lungo interrogatorio, durato due ore tra pianti e singhiozzi da parte del ragazzo, è terminato con la mancata convalida del fermo, perché non ci sarebbe pericolo di fuga, ma con la firma, da parte del gip, di un'ordinanza di custodia cautelare in carcere: non essendo trapelato un possibile movente, secondo il giudice sarebbe, infatti, reale la possibilità di una reiterazione del reato. Insomma, il ragazzo potrebbe tornare ad uccidere. 

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LE DICHIARAZIONI DEL FIGLIO NON REGGONO. Qualcosa non torna, secondo il gip, nelle dichiarazioni rese dal figlio di Enrico Boggian: perché, se è stato solo un incidente, il giovane, invece di allontanarsi in bicicletta, non si è affrettato a chiamare i soccorsi per tentare di salvare la vita al padre, forse ancora in vita (questo lo stabilirà l'autopsia)? "Mi sono spaventato", avrebbe tentato di giustificarsi il giovane, ma la storia raccontata dal ragazzo subito dopo la tragedia, nel vano tentativo di allontanare da sé i sospetti, avrebbe, secondo il gip, tutta l'aria di un piano ben orchestrato.

IL MANCATO SOCCORSO AL GENITORE. Il 16enne, martedì, ha ricostruito quella drammatica giornata: sarebbe rimasto a casa da scuola per un malessere; in mattinata sarebbe andato a trovare il nonno, che abita a 300 metri dalla villetta di via Monte Santo a Selvazzano dove di lì a poco si sarebbe consumata la tragedia; nella camera del nonno avrebbe notato il fucile e avrebbe deciso di sottrarlo per "fare uno scherzo" al padre; sarebbe, quindi, tornato a casa, avrebbe pranzato con il genitore e con lui sarebbe sceso in taverna; qui, avrebbe puntato il grilletto alla testa del papà, uccidendolo.

L'ALIBI DELL'USCITA IN BICICLETTA. Invece di prestargli soccorso e chiedere aiuto, però - ed è questo che fa vacillare la tesi dell'"incidente" - il ragazzo è fuggito in bici, ha nascosto l'arma tra i campi nelle vicinanze della sua abitazione e, una volta tornato, si è fatto aprire il cancello da una vicina, sostenendo di avere suonato a casa ma che nessuno gli avesse risposto; quindi, una volta entrato nella propria abitazione, ha iniziato a gridare, fingendo di avere appena rinvenuto il cadavere del padre. Poche ore più tardi, le incongruenze nelle dichiarazioni rese dal giovane avrebbero portato i carabinieri ad intuire un suo coinvolgimento nel delitto e ad arrestarlo per omicidio. 

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