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La rivincita di Vittoria Bianco: dopo la malattia torna allo Iov con la medaglia d'oro

«Appena amputata, mi sono detta: hai bisogno di un obiettivo, volevo andare a Tokyo, mi sono allenata per due anni, e a Tokyo ci sono andata, e ho vinto»

Un messaggio di uguaglianza: “L’acqua è il posto più bello del mondo: un disabile in acqua non ha bisogno di nulla, si sente identico a tutti gli altri”. Un messaggio di speranza: “Io ero arrivata ad essere uno stuzzicadenti, pesavo 35 kg, le terapie erano pesanti, non mi reggevo in piedi”. Un messaggio di realismo: “Quando ti viene diagnosticato un cancro scopri una forza che non sapevi di avere: si combatte, si diventa tutti guerrieri. Prima svenivo ad un prelievo di sangue, la malattia mi ha formato”. Quella di Vittoria Bianco, giovane paziente dell’Istituto Oncologico Veneto, è la storia di una malattia aggressiva e del suo superamento, dentro e fuori dall’acqua. 

Nuoto

Nuotatrice ventiseienne originaria di Putignano, in  provincia di Bari, nell’agosto scorso Vittoria ha vinto la medaglia d'oro nella staffetta 4x100 stile libero alle Paralimpiadi di Tokyo. Il 20 dicembre era a Roma alla cerimonia di consegna dei Collari d’Oro, la massima onorificenza dello sport italiano, assegnati dal premier Mario Draghi ad atlete e atleti che si sono particolarmente distinti in ambito internazionale. Il giorno dopo era allo IOV, per i consueti controlli. «Nel 2015 mi rendo conto – ripercorre Vittoria - di avere un nodulino all’altezza del ginocchio, che cresceva sempre di più: ho girato parecchi medici in Puglia, tutti mi parlavano di un probabile angioma, finchè non sono arrivata a Padova dove in Azienda ospedaliera il prof. Pietro Ruggieri, direttore della Clinica Ortopedica e Traumatologica, mi ha diagnosticato un tumore. Ho quindi iniziato le terapie allo IOV: mi sono sottoposta a un anno di chemioterapia per ridurre la massa, che era diventata enorme, seguita dalla dottoressa Antonella Brunello dell’UOC Oncologia Medica 1 diretta dalla dottoressa Vittorina Zagonel: milleseicento chilometri tra andata e ritorno ogni quindici giorni. Quindi un mese di protonterapia a Trento. La massa si è effettivamente ridotta per cui hanno potuto intervenire: mi hanno dovuto togliere l’intero quadricipite, e la ferita non cicatrizzava. Ho perciò deciso, d’accordo con i clinici, di amputare la gamba: piangevo disperata, ma era la scelta migliore, di cui non mi sono mai pentita. Poi ho messo una protesi, e appena i medici mi hanno dato il via libera, sono tornata a nuotare”. Vittoria lo faceva dall’età di sei anni, la sua passione di sempre. “Appena amputata, mi sono detta: hai bisogno di un obiettivo, e ho passato la degenza guardando i video delle Paralimpiadi Rio 2016. Volevo andare a Tokyo, mi sono allenata per due anni, e a Tokyo ci sono andata! Mi hanno convocato e ho vinto l’oro». Vittoria cammina, fa le scale. «La competenza medica e la tecnologia fanno grande cose: io sono praticamente autonoma. I controlli allo IOV a Padova sono ogni 4 mesi, l'allenamento in piscina tutti i giorni».

Famiglia

Accanto a lei, il fidanzato Sandro e la famiglia. «La famiglia è stata importantissima, senza non avrei potuto fare questo “viaggio” per un anno da Putignano a Padova ogni 15 giorni: mio papà è stato fondamentale, Sandro e gli amici mi aiutavano a vedere la faccia luminosa della luna». Il messaggio, rivolto a tutti in questo inizio Anno, pare semplice ma non lo è. «Non abbattersi mai, guardare il bicchiere mezzo pieno. Le difficoltà mi hanno permesso di realizzare il mio sogno di bambina: andare a un'Olimpiade, addirittura vincere un oro. Alle Paralimpiadi ho conosciuto una australiana uguale a me Ellie Colie, e riconoscendomi in lei ho trovato ulteriore forza. La medaglia di Tokyo è stata un punto di partenza: per me il 2022 è un nuovo inizio. La malattia mi ha insegnato a guardare oltre, e a vedere oltreı.

Vittoria

«Siamo tutti fiocchi di neve, tutti diversi eppure identici nell'essenza. Vittoria ci insegna, con molto realismo, l'importanza di non mollare mai, e di vedere sempre il bicchiere mezzo pieno. Il suo approccio alla vita - commenta il Direttore Generale dello IOV - IRCCS, Patrizia Benini - è lo stesso che respiriamo nel nostro Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico: il cancro è una malattia sempre più curabile ma va tenuta a bada, sotto controllo. Se la ascolti, la studi, la approfondisci, può insegnare molto: non solo indicare nuovi approcci di ricerca e di terapia, ma anche a livello personale far sgorgare nuova linfa vitale, capace di portarti a traguardi impensabili. Dalla malattia, un nuovo senso della vita, sempre, qualsiasi sia il risultato finale».

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