“Biblioteca vivente al Museo” della Padova ebraica, l'incontro dove i testimoni diventano libri da consultare
Un quadro che ritrae un uomo seduto in veste da camera, una mano tiene un fiore ed è appoggiata a un libro, l’altra indossa un vistoso anello, sullo sfondo un torso classico femminile. È il ritratto che Tino Rosa, esponente del Novecentismo veneto, fece a Paolo Shaul Levi e che fu esposto alla Biennale di Venezia nell’estate del 1938 con il titolo “Ritratto Avv. Paolo Levi”, nel pieno della propaganda che di lì a poco avrebbe portato alle leggi razziali. Ritratto rimasto in una collezione privata, quasi dimenticato, fino alla primavera del 2021: dal suo studio è stata recuperata la storia, ricca ancora di interrogativi, di questo padovano: avvocato, intellettuale, ebreo e omosessuale, deportato e ucciso ad Auschwitz nel 1944. Alla sua figura ritrovata la Fondazione Museo della Padova Ebraica dedica la Giornata della Memoria 2022.
L’evento
Domenica 30 gennaio alle 16 Paolo Levi sarà il protagonista principale della Biblioteca vivente, iniziativa speciale organizzata al Museo della Padova Ebraica. Davanti al suo ritratto, in prestito al museo, lo storico dell’arte Alessandro Pasetti Medin racconterà la sua vicenda rispondendo alle domande del pubblico. Oltre a quella di Paolo Levi ci saranno altre storie di padovani deportati: il racconto è affidato ai membri della Comunità Ebraica.
L’evento è su prenotazione obbligatoria (museo@padovaebraica.it, tel. 049 661267): biglietto 10 euro, entrata gratuita per i residenti nel Comune di Padova.
La pietra d’inciampo
Giovedì 27 gennaio in via dei Fabbri, davanti all’ultima abitazione nota di Levi, verrà depositata una pietra d’inciampo nell’ambito delle iniziative per il Giorno della Memoria organizzate dal Comune di Padova: in questa occasione gli studenti del liceo classico Tito Livio leggeranno brani realizzati sulla base delle ricerche fatte per ricostruirne la figura.
Quello dei giovani del Tito Livio è il primo di diversi momenti di restituzione del lavoro che in questi mesi proprio le studentesse e gli studenti delle scuole superiori di Padova hanno condotto, in collaborazione con gli storici, per ricostruire pezzo dopo pezzo la storia di Paolo Levi, partecipando a un progetto promosso dalla Fondazione per il Museo della Padova Ebraica. Il 1° febbraio, infatti, Levi sarà anche oggetto di una rappresentazione teatrale al Ridotto del Teatro Verdi con protagonisti gli studenti del liceo scientifico Nievo e dell’istituto Scalcerle di Padova (evento su invito, per informazioni contattare il Museo della Padova Ebraica), mentre il Liceo europeo San Benedetto di Montagnana proporrà uno spettacolo a scuola l’11 febbraio. È così, quindi, che Padova rende onore ad un suo concittadino che rischiava rimanere nell’oblio.
La vicenda
La vicenda di Paolo Shaul Levi riserva ancora degli interrogativi: si deve alle intuizioni e al lavoro certosino dello storico dell’arte Alessandro Pasetti Medin, della professoressa Mariarosa Davi, della dottoressa Giulia Simone, ricercatrice dell’Università di Padova, e dell’archivista della Comunità Ebraica Ghila Pace, la riscoperta di quest’uomo di cui, altrimenti, sarebbe rimasto solo il nome nella lista dei padovani deportati ad Auschwitz. Tutto inizia nella primavera del 2021 quando una padovana sottopose a Pasetti Medin un quadro dipinto dallo zio Tino Rosa. A partire dalla particolarità del ritratto di un professionista ebreo esposto alla Biennale del 1938, i ricercatori hanno consultato gli archivi di diversi enti e istituzioni a Padova, Venezia, Milano e Roma, mettendo insieme alcuni pezzi dell’esistenza di Levi, tanto lineare e documentata fino alla laurea, quanto frammentata e a tratti misteriosa negli anni della maturità.
Paolo Levi
Paolo Levi, infatti, nato nel 1904, era uno studioso dagli interessi culturali vasti: scriveva recensioni sulla rivista “Israel”, ed era un punto di riferimento intellettuale per la Comunità Ebraica. La sua carriera scolastica era stata brillante e culminata con la laurea in Giurisprudenza a 22 anni, alla quale però non seguì mai l’abilitazione ufficiale all’avvocatura. Anche se di questioni legali si occupò per tutta la vita: internato più volte dopo la promulgazione delle leggi razziali, era noto per adoperarsi per il miglioramento delle condizioni di prigionia. Era anche omosessuale, in un momento storico in cui la diversità era nemica della vita sociale. Le leggi razziali, inoltre, avevano determinato anche la sua solitudine: le amate sorelle si erano trasferite in Libia. Arrestato per l’ultima volta nel dicembre del 1943, venne deportato ad Auschwitz nello stesso treno e nello stesso vagone di Primo Levi, e probabilmente venne subito mandato nelle camere a gas. Di Paolo Levi, infatti, non esiste certificato di morte, tuttavia è lo stesso scrittore a darci indizi utili: «Non entrarono, del nostro convoglio, che novantasei uomini e ventinove donne, di tutti gli altri, in numero più di cinquecento non uno era vivo due giorni più tardi», scriveva in Se questo è un uomo. È molto probabile che Paolo Levi fosse tra quei cinquecento.
«Il ritrovamento del quadro di Paolo Shaul Levi e la ricostruzione della sua storia è una straordinaria dimostrazione del ruolo della memoria non solo per ricordare ciò che è stato, ma per cercare ancora nuove testimonianze – spiega Gina Cavalieri, presidente della Fondazione per il Museo della Padova Ebraica – Paolo Levi era un padovano impegnato, era anche omosessuale e questo dice quanto deve essere stata dura la vita per lui. Da un quadro che lo ritrae siamo riusciti ricostruire parte della sua vita, anche grazie al prezioso aiuto degli studenti che hanno lavorato con noi in questi ultimi mesi. Siamo orgogliosi di mostrare questo quadro ai padovani che vorranno venire a conoscere la storia travagliata di questo loro concittadino».
Info web
https://www.museopadovaebraica.it/eventi/biblioteca-vivente-al-museo/
https://www.facebook.com/events/680290949662228
Foto articolo da comunicato stampa - Ritratto di Paolo Levi del pittore Tino Rosa