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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Cultura

Alberto Bombarelli racconta "The Cave", il nuovo album del musicista padovano

«Pastoso, amabile, strutturato», così il musicista, in arte Drown, descrive il nuovo disco. Frutto di un'ispirazione venutagli a New York, vuole essere un viaggio nella riflessione della mente umana: malinconico, realista, un tragitto in cui in fondo si avverte un tiepido barlume di speranza

È uscito la scorsa settimana sulle principali piattaforme di streaming il nuovo disco “The Cave” di Alberto Bombarelli, in arte Drown. Un viaggio personale nella riflessione della mente umana: malinconico, realista, un tragitto in cui in fondo si avverte un tiepido barlume di speranza.

Alberto, "The Cave" è solo l’ultima delle tue produzioni. Quale è stato fino ad ora il tuo percorso artistico?

Da anni sono in mood nevrastenico dividendomi tra troppe cose diverse. Oltre ad aver fatto due dischi da solo prima di “The Cave” collaboro da tempo con gli Hope at the Bus Stop, progetto con il cantautore Giovanni Zancan che secondo me ha un talento enorme, e un altro talento enorme che è Sergio Trapanotto, con il quale abbiamo proposto in varie sedi il suo spettacolo multimediale “DiVersi” (musica dal vivo, poesie e suggestioni grafiche). Quest’anno ho ricevuto inoltre una prima proposta di pubblicazione (da Edizioni Accademiche Italiane) e sto lavorando a un libro insieme a Sergio (il quale ha pubblicato con Cleup) che spero verrà pubblicato in un futuro. Aver avuto queste opportunità è un’enorme fortuna.

La tua base è l’Arcella, quartiere che negli ultimi anni sta sfornando molti contenuti culturali ed artistici. Ti ritrovi in questa nuova energia culturale?

Assolutamente sì! Spererei anzi di poter dare in futuro molto di più, per ora sono presente all’interno dell’ambiente solo per i miei progetti personali e, in piccola misura, come insegnante di musica, ma mi piacerebbe fare di più per la collettività. Tuttavia, realtà nate negli ultimi anni, come Dischi Sotterranei (la cui associazione ha vinto il bando per la gestione del parco Milcovich, ad esempio, e se ne sono già visti gli effetti la scorsa estate) e Iohoo Records (solo per citare quelle a me più vicine) hanno realmente cambiato la faccia dell’Arcella.

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La scena musicale in città è viva? È facile per un artista emergente potersi esprimere?

La scena musicale è molto viva, volendo si possono scoprire svariate cose interessanti; se invece con facilità di esprimersi intendi spazi per suonare, questo è un discorso complesso, almeno d’inverno (d’estate ci sono i festival, sempre più frequenti); i locali che decidano di divenire club o comunque di investire seriamente nella musica dal vivo sono veramente pochi per le enormi difficoltà economiche dovute alla continuativa incertezza e stagnazione del mercato musicale (e non solo di quello); noto però negli ultimi mesi iniziative sorprendenti da parte di diversi locali, volte a dare a certa musica spazi improvvisati, magari in acustico, vista la scarsità di spazi più ampi: un divano, un retrobottega, un angolo dietro al bancone... tutto questo mi sta colpendo molto. Qualcosa vive!

Il tuo disco parte da un viaggio a New York, come è arrivata l’ispirazione?

Ero al Metropolitan Museum e tutte queste sezioni esotiche mi hanno fatto decidere seduta stante che dovevo fare un disco con canzoni chiamate Antelopes, New Ireland, Vanuatu... cose del genere. L’infatuazione per gli aborigeni ha ispirato anche il titolo del disco (l’idea delle pitture rupestri...) alla “caverna” si potrebbero dare innumerevoli significati simbolici...

Quali sono i tuoi riferimenti in ambito musicale e compositivo?

Per questo disco in particolare avevo in testa il sound di alcuni dei miei massimi miti: soprattutto Jimi Hendrix, Frank Zappa, i dischi di Miles Davis degli anni ‘60 e dei primi ‘70, Sly and the Family Stone, Prince... citare questi riferimenti fa però tremare i polsi! Non pretendo neanche lontanamente il confronto.

Tre aggettivi per descrivere il tuo ultimo album e incuriosire chi ci legge.

Direi: Pastoso, amabile, strutturato!

L'aulbum

Uscito per l’etichetta padovana Iohoo Records e frutto delle collaborazioni con lo Studio2 di Padova e Nusica di Treviso, l’album è stato registrato con l’ausilio di Luca Della Gasperina (tastiere), Flavio Agostini (basso) e Marco Buffetti (batteria). Un rifugio, uno studio, un omaggio alla musica, cantato e suonato, che unisce le preoccupazioni dell’artista alle incertezze dell’uomo, nella sua quotidianità.

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