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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Erlend Øye a Padova, il live acustico che diventa una festa siciliana in Sala dei Giganti

Il cantautore norvegese trapiantato in Sicilia stravolge le aspettative e mette in scena uno spettacolo che porta il calore mediterraneo e il samba brasiliano nell'intimismo scandinavo

Chi si aspettava un tranquillo concerto in acustico, magari con l'artista solo, seduto a centro palco e circondato dagli strumenti non ha certo avuto lo spettacolo atteso. Ma non è certo rimasto deluso, perchè Erlend Øye ha magistralmente portato in scena una miscela esplosiva di armonia, semplicità ed energia. Una performance vulcanica e aggraziata allo stesso tempo, una vera festa tra amici in una location tanto suggestiva quanto solenne.

Erlend Øye in Sala dei Giganti

L'eclettismo di Andrea Poggio

E il mix dei contrari è risultato vincente. A partire dall'opening act, affidato al milanese Andrea Poggio che con il cantautore norvegese oltre alla passione per la sperimentazione musicale ha in comune ben altro, tanto che, come tiene a sottolineare, è arrivato a Padova “per dimostrare che non siamo la stessa persona”, visto che la somiglianza fisica e nel look è impressionante. Con il suo personalissimo ed eclettico stile, Poggio sul palco sembra un pesce fuor d'acqua che però sa benissimo dove si trova. E il pubblico apprezza. Impegnato a portare in tour il nuovo album “Controluce”, con cui apre i concerti di artisti del calibro di Baustelle e Brunori Sas - giusto per fare qualche nome - l'artista regala alla Sala dei Giganti in sold out quattro pezzi, offrendo anche arrangiature mai suonate prima dal vivo come per “Mediterraneo”. Cantando la giungla urbana fra tram e sopraelevate, fra i compro oro e le zanzare, la prima mezz'ora di concerto vola via veloce.

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Simpatia travolgente

Dopo dieci minuti di pausa per gli aggiustamenti tecnici che rendono ancora più intima e coinvolgente l'atmosfera, rientra in scena Erlend Øye, che ha seguito tutta l'esibizione di Poggio a fondo sala, tra il pubblico. E si vede che lo scandinavo - che del rigore del Nord ha ormai ben poco, probabilmente grazie al fatto di essersi trasferito a Siracusa - è proprio tra il pubblico che vuole stare. Con un fluente italiano mescolato a qualche inflessione inglese inizia il vero spettacolo, scandito dalle battute e dagli scherzi che Øye scambia con i suoi tecnici e con la sala, forse più ancora che dalla musica.

One man show, ma in gruppo

I primi sei pezzi lo vedono solo in scena, voce e chitarra e poi ukulele, cantando Gaber e i pezzi scritti con i Kings of Convenience, fondati nel 2000 con Eirik Glambæk Bøe. Ma chi pensava di assistere al concerto con Erlend Øye solo e unico protagonista si sbagliava di grosso. Uno alla volta, sul palco si sono uniti tre giovani talenti emergenti siracusani, in una miscellanea tanto singolare quanto ben riuscita.

Tra Norvegia, Sicilia e Brasile

Il primo a salire sul palco è Stefano Ortisi al pianoforte, per tre pezzi toccanti, prima con la chitarra e l'ukulele in accompagnamento e poi via gli strumenti, per lasciare solo voce e piano. A raggiungere lo stage è poi Marco Castelli che unisce voce e chitarra all'ensemble, seguito da Luigi Orofino al cavaquinho. A quel punto la formazione è al completo, la festa siciliana ha davvero inizio e quello che doveva essere il concerto di Erlend Øye è diventato il concerto di Erlend Øye e la sua band. Alternando arrangiamenti azzardati in un viaggio che dalla Norvegia arriva in Sicilia passando per il Brasile, passando dal sentirsi a una festa sul lungomare d'estate a un live di Cat Stevens. Poi tutti in piedi, Erlend chiama il pubblico, la band è affiatata, in Sala dei Giganti si passa dal live set acustico alla jam session.

Il finale a sorpresa

Si passa per le canzoni di The Whitest Boy Alive e per la musica brasiliana, con i ragazzi protagonisti del palco e Øye a bordo campo a ballare il ritmo della techno sulle note del samba. Perfino un problema al microfono dell'ukulele dà un valore aggiunto al gran finale, con Erlend che al volo cambia strumento e regala al pubblico “La prima estate”. Il concerto è finito, gli artisti sfilano attraverso la sala ed escono: quasi quattro minuti di applausi e il protagonista rientra in scena per l'ultimo pezzo, che naturalmente non ha nulla in comune con la classica chiusura di un set acustico. Il microfono è troppo alto prima, troppo basso dopo. Øye lo appoggia su una custodia e via con “Rainman”, ukulele e voce senza il microfono. Che forse è stato meglio fosse troppo basso, perchè in fondo era quasi di troppo.

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