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Torna a Padova "Il Monsone", lo spettacolo di Beppe Casales sul caporalato

L'attore ha tratto ispirazione dal libro di Marco Omizzolo, “Sotto padrone”, sociologo che lavora da anni nell’agro pontino e che studia da vicino il fenomeno del caporalato. Domenica 6 novembre alle ore 19 ai "Carichi Sospesi" all'interno della rassegna "Dritti al cuore"

Torna nella sua città natale Beppe Casales, con il suo spettacolo "Il Monsone". L'attore ha tratto ispirazione dal libro di Marco Omizzolo, “Sotto padrone”, sociologo che lavora da anni nell’agro pontino e che studia da vicino il fenomeno del caporalato. Infatti, quella che racconta Casales è la storia di un ragazzo indiano che viene in Italia per lavorare in agricoltura. Per raccontare la sua vicenda che è poi quella di tanti che arrivano in Italia in cerca di lavoro per trovarsi poi sfruttati, sottomessi e minacciati. «Lo spettacolo è un processo che si tiene non al padrone ma allo sfruttato, che ha avuto l’ardire di ribellarsi al sistema», spiega Casales.

Casales

«Per me "Il Monsone" è una grande opportunità di parlare del tema del “lavoro”, però visto da un’altra ottica», riferendosi a chi sotto i caporali ci finisce. Un fenomeno che coinvolge diverse province. «Lì, nell'agropontino, nel 2016 è stato organizzato uno sciopero che ha portato a dei risultati. Anche questo mi ha colpito molto della vicenda di quei lavoratori sfruttati. Per la maggior parte delle persone lo sciopero è uno strumento inutile e vecchio, lì in realtà è stato uno strumento che ha portato a un cambiamento reale, tangibile». Per la prima volta infatti, il 18 aprile 2016, duemila braccianti Sikh sfruttati nei campi, pagati 3,5 euro l'ora contro i 9 che vorrebbe il contratto nazionale, si erano uniti in una protesta di piazza. Fino all'aprile di quell'anno le denunce sull’esistenza di un vastissimo fenomeno di sfruttamento del lavoro nell’agro pontino era considerata una sorta di leggenda. Poi, quel giorno, centinaia di braccianti indiani sono scesi in piazza per la prima volta e hanno denunciato ad alta  voce le condizioni inaccettabili in cui erano costretti a vivere e a lavorare. Ammucchiati in tuguri e baracche, per dodici ore al giorno chini nei campi a due euro all’ora e obbligati a sottostare ai diktat del caporale senza poter neanche chiedere i guanti di protezione durante la distribuzione dei diserbanti e molti sprovvisti di permesso di soggiorno. E' la loro storia che racconta, Beppe Casales. Uno spettacolo ricco di immagini e di musica, di cui si è personalmente occupato, che svela anche l'evoluzione artistica dell'attore e autore padovano. «Fa sempre piacere tornare anche se sono tanti ormai che manco», ci spiega al telefono. «Soprattutto in un momento come questo, inteso come fase storica, parlare di lavoro e di diritti mi sembra centrale. Prima gli italiani pensavano che ad essere senza diritti fossero solo gli immigrati, ma molti hanno iniziato a vivere sulla propria pelle e ad accorgersi che questi iniziano a venire meno anche per loro. Se cresce questa consapevolezza i prossimi anni potrebbero essere molto stimolanti ed interessanti». 

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