Sant’Antonio, i detenuti e quei dolci che provengono dal Medioevo
Di cosa si nutrivano i padovani nel corso dei secoli? Quali erano le abitudini alimentari dei nostri antenati? E andando all’indietro nei secoli si possono riscoprire o recuperare ingredienti o ricette per l’oggi? Tutte domande da cui nasce l’esposizione documentaria “Il cibo, i luoghi e le frodi alimentari nella Padova del Settecento”, in perfetta consonanza con il tema di Expo 2015, promossa dall’Archivio di Stato di Padova, nelle sale del Museo della Storia della Medicina e della Salute di Padova, con il supporto della Fondazione Musme e altre realtà istituzionali padovane. Un’iniziativa che nasce nell’ambito delle attività collaterali a Expo 2015 organizzate dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo.
All’inaugurazione, che si terrà sabato 19 settembre 2015 alle 17.30, parteciperà anche Officina Giotto, il consorzio che promuove le lavorazioni nella casa di reclusione di Padova, in particolare la Pasticceria Giotto, ormai celebre anche al di là dei confini del nostro Paese. Ma che rapporto hanno i dolci dei carcerati (che sarà possibile assaggiare all’inaugurazione) con la storia dell’alimentazione padovana? Lo spiegheranno nel loro intervento, intitolato “Il cibo e l’antica tradizione nei dolci di Sant’Antonio di Padova”, il presidente del consorzio Nicola Boscoletto e il direttore della pasticceria Matteo Florean.
«Sant’Antonio lungo la sua vita ebbe una predilezione per i carcerati, in particolare per i moltissimi che nella sua epoca finivano in carcere per debiti», spiega Boscoletto. «La sua prima biografia racconta che “riconduceva a pace fraterna i discordi; ridava libertà ai detenuti; faceva restituire ciò ch’era stato rapito con l’usura o la violenza; si giunse a tanto che, ipotecate case e terreni, se ne poneva il prezzo ai piedi del Santo, e su consiglio di lui quanto con le buone o con le cattive era stato tolto, veniva restituito ai derubati. Liberava le prostitute dal turpe mercato, e ladri famosi per misfatti tratteneva dal mettere le unghie sulle cose altrui”». Il 17 marzo 1231, quasi al termine di una famosa quaresima quotidiana da lui predicata che aveva polarizzato la vita cittadina, Antonio si presentò al podestà di Padova e al suo Consiglio chiedendo una riforma del codice penale sui debitori insolventi, che venivano regolarmente cacciati a languire in carceri durissime e disumane, trattati come animali più che come persone umane. Egli ottenne effettivamente la commutazione del carcere nel pignoramento dei beni e nell’esilio dalla città».
Questa predilezione per i reclusi si è concretizzata anche in tempi recenti, e precisamente nel 2008, quando per iniziativa dei frati della basilica le reliquie del Santo portoghese sono passate di cella in cella per essere oggetto della venerazione di carcerati di tutte le religioni, così come nel febbraio 2010, quando invece fu il mondo del carcere a “restituire la visita” con una celebrazione solenne nei giorni dell’Ostensione del corpo del Santo.
Di qui l’idea, maturata tra i maestri artigiani e i detenuti pasticceri, in collaborazione con i frati della Basilica del Santo, di creare una linea di “Dolci di Antonio”. «Le lunghe sperimentazioni sugli ingredienti e le ricette dell’epoca sono alla base di questi dolci dai sapori antichi», racconta Florean. «Con la Noce del Santo, ad esempio, che ormai è diventato il dolce di sant’Antonio per eccellenza, abbiamo voluto esprimere le tensioni vitali del Trecento, conciliando gli ingredienti sia del vecchio (noci, nocciole, mandorle) che del nuovo modello di alimentazione del tempo (farina integrale di frumento). Nella Corona del Santo il fico, simbolo di fecondità del Medioevo, gareggia in morbidezza con la nostra pastafrolla». E anche il Giglio del Santo è un vero e proprio tuffo nella Padova del Trecento, «una sinfonia di sapori dell’epoca, soprattutto orzo, fichi e zenzero».
Allo stesso modo la serie di biscotti intitolata ad Antonio, il Cavaliere, il Monaco e il Contadino, «è un excursus sulle profonde modificazioni sociali intervenute all’alba del Trecento». «Durante il Medioevo centrale, epoca in cui visse Sant’Antonio», racconta Florean, «si assiste pian piano alla nascita di una nuova classe sociale urbana che si va ad affiancare ai tre “ordini” tradizionali della nobiltà, del clero e dei contadini. Con l’occhio della nuova classe urbana abbiamo voluto pensare a tre figure che attraversano tutto il Medioevo, e ispirati da queste figure, siamo andati a svolgere ricerche sugli usi alimentari, concreti e simbolici del Duecento, riportando ad oggi, in questi tre biscotti, i sapori di quell’epoca».
L’inaugurazione di sabato 19 prevede anche le comunicazioni di Mauro Maccarinelli, monaco di Praglia, sulle vigne e i vini che l’abbazia ha curato fin da medioevo, del sindaco di Anguillara Luigi Polo sulla patata americana coltivata in quel comune, un tempo considerata alimento povero, oggi prodotto di nicchia tutelato, e di Ampelio Bianco, rappresentante delle Associazioni Olivicoltori Euganei, sulla lunghissima tradizione e produzione dell’olio di oliva nei Colli. Concluderà la curatrice dell’esposizione, Francesca Fantini D’Onofrio, che dirige l’Archivio di Stato di Padova, con una comunicazione sul tema dell’esposizione: «Il cibo, i luoghi e le frodi nella Padova del Settecento».
Al termine, come ricordato sopra, ci sarà spazio per la degustazione nel chiostro del Museo di prodotti tipici padovani, tra i quali tutti i Dolci di Antonio prodotti in carcere.