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Restaurati gli arredi di Gio Ponti, Mapelli: «Siamo partiti dai documenti originali»

Un restauro filologico quello degli arredi al piano nobile del Bo, partito dallo studio dei documenti e delle fotografie originali del celebre architetto

Un restauro filologico, partito dall’analisi di documenti e fotografie per arrivare a riprodurre fedelmente gli arredi dell’architetto milanese Gio Ponti. I lavori sono iniziati a luglio 2021 e sono quasi ultimati. Lunedì 7 febbraio la rettrice Daniela Mapelli, il soprintendente Fabrizio Magani e la direttrice artistica del restauro Giovanna Valenzano hanno presentato quanto fatto sino ad ora.

Il restauro filologico

«Era il 1938 quando l’allora rettore, Carlo Anti, ha deciso di ristrutturare gli appartamenti del rettore – racconta Mapelli – Ha chiesto a Gio Ponti di guidare i lavori, voleva creare un luogo conviviale. E infatti oltre all’ufficio e alla sala riunioni abbiamo una sala da pranzo, una cucina, la sala del caminetto, la sala della lettura, il salottino. Ponti ha curato ogni dettaglio e la particolarità è che si tratta di ambienti che andavano vissuti. Abbiamo voluto riportare gli arredi al loro aspetto originario. È stato un restauro filologico, partito dallo studio di documenti, carteggi e fotografie».

I dettagli

Magani spiega che 30 anni fa è stata realizzata una catalogazione del patrimonio del Novecento, un archivio diventato fondamentale: «Oggi si compie la parabola iniziata 30 anni fa. È stato usato in maniera direi religiosa il metodo italiano, cioè l’utilizzo della catalogazione come punto di partenza. Ogni oggetto qui fa parte del monumento intero, ogni oggetto è fatto per essere usato». È stato un lavoro di squadra tra l’Università e la Soprintendenza. «Ponti aveva un’attenzione maniacale per i dettagli, anche durante la guerra non si è fermato – dice Valenzano – Il lavoro che ha fatto al Bo è quasi il suo testamento spirituale, sapeva che avrebbe lasciato un segno e che sarebbe stato ricordato per questi arredi. Le prime riflessioni su questo restauro così complesso sono partite nel 2015 e abbiamo trasformato il Bo in un laboratorio perché non abbiamo mai chiuso le porte: il lavoro e le visite sono state garantite».

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