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Antonio Calò, il professore che ha ospitato i migranti in famiglia e la sua ricetta europea per l'accoglienza

«Se ogni comune di cinquemila persone ne accoglie sei, facendo un conto matematico rapido, si capisce che il problema dell’invasione non esiste. Pensiamo se dodici venissero affidati a un comune di diecimila, diciotto a uno di quindicimila e progressivamente via così, sono numeri facilmente gestibili»

«Le cellule degli stati sono i comuni. Il mio ragionamento è semplice, se ogni comune di cinquemila persone ne accoglie sei, facendo un conto matematico rapido, si capisce che il problema dell’invasione non esiste. Pensiamo se dodici di questi richiedenti asilo o profughi venissero affidati a un comune di diecimila, diciotto a uno di quindicimila e progressivamente via così, si capisce che sono numeri facilmente gestibili. Se ragioniamo poi in rapporto ai sessanta milioni di italiani e i cinquecento milioni di europei si comprende che sarebbe la via più facile». Parla per esperienza diretta, Antonio Calò, candidato alle europee nelle liste del Pd, trevigiano e professore al Liceo Classico Canova. E’ balzato agli onori della cronaca nel 2015 per l’iniziativa della sua famiglia di accogliere in casa sei migranti che arrivano tutti dall’Africa sub - sahariana. Ha dato appuntamento al Pedrocchi, in sala Verde, dove ha presentato la sua candidatura.

«E’ quindi il “Modello sei più sei per sei” quello che proponiamo a tutta l’Europa, è la soluzione per l’accoglienza. Ne siamo convinti. La nostra esperienza, quella dell’accogliere in famiglia è l’eccezione che conferma la regola. Non devono essere le famiglie ma le amministrazioni a prendersi carico di questo con strutture che ha già esistono. Gestire un nucleo di sei persone per un comune di cinque, dieci o quindicimila abitanti o addirittura più grande, non può essere un problema. Figuriamoci per poi per una città,  per uno Stato e tanto meno per l’Europa. Fare così vorrebbe dire gestire questo fenomeno in modo serio e responsabile non lasciando possibilità alle organizzazioni mafiose di sfruttare queste persone. I ragazzi che abbiamo ospitato in questi anni ora hanno un lavoro e hanno scelto di andare a vivere la loro vita in una loro casa. La dimostrazione che un modo di accogliere c’è».

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