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Un viaggio lungo un anno, in salvo a Padova tre giovani afghani in fuga dai Talebani

Sono tre minorenni che dopo essersi nascosti per mesi dai talebani grazie all'intervento della consigliera regionale Elena Ostanel e dell'assessora ai diritti umani del Comune, Francesca Benciolini ed a Marta Nalin hanno potuto riabbracciare il loro padre rifugiato ad Abano

«E’ un anno che seguo questa famiglia, la vicenda di questi tre ragazzi. Vederli qui ora a Padova, in salvo, è un sollievo e una grande emozione. Ma non è stato facile». Elena Ostanel, consigliera regionale de “Il Veneto che vogliamo”, la incontriamo in piazza Capitaniato proprio insieme ai tre minorenni che sono appena giunti a Padova dopo un viaggio lungo un anno. Al suo fianco l’assessora alla pace e ai diritti umani del comune, Francesca Benciolini, che ironizza sul fatto che, quando sei anni fa prese questa delega, ci fu pure chi ironizzò definendola inutile. «Invece eccoci qui ad accogliere questi tre ragazzi che finalmente hanno potuto riabbracciare il loro padre che da quando i talebani hanno preso il potere in Afghanistan vive ad Abano Terme». Hanno scelto di venire a vivere qui, il loro padre prima e poi i tre ragazzi perché già un altro familiare aveva a suo tempo, una decina di anni fa, deciso di lasciare il suo Paese sentendosi in pericolo. Un grande contributo lo ha dato anche l'ex assessora al sociale Marta Nalin, che da quando è cominciata la crisi afghana si è immediatamente prodigata, insieme alle due colleghe, per mettere in salvo più persone possibile. 

Una vita in fuga, si potrebbe riassumere così come un titolo di un film, mentre invece è realtà. Racconta il cugino che da dieci anni vive ad Abano: «Sono tante le persone le Afghanistan che si nascondono per sfuggire ai talebani. Noi che viviamo all’estero e lavoriamo mandiamo i soldi a tutti i famigliari che ne hanno bisogno, proprio per aiutarli in quella che è proprio un’azione di sopravvivenza. I miei tre cugini che ora sono qui e che hanno potuto riabbracciare il loro padre ci hanno messo un anno a raggiungerlo». Ci racconta come sono riusciti a farli uscire dal Paese: «Grazie alla corruzione – scherza ma fino a un certo punto – perché il visto per Teheran lo abbiamo ottenuto così, pagando. Ci serviva farli uscire da lì e siamo riusciti a trovare questa prima soluzione. Poi grazie all’intervento loro (Ostanel e Benciolini n.d.r.) si è riusciti in tempi non brevissimi a farli arrivare qui. Sono stati da febbraio fino a inizio di questa settimana in Iran e poi finalmente, grazie al lavoro diplomatico che è stato fatto, sono volati a Milano, finalmente».

I ragazzi sono visibilmente stanchi, un po’ spaesati ma sollevati. Ascoltano pur non capendo, sorridono pure ogni tanto. Uno di loro, il più giovane, ha ancora i segni delle botte ricevuti da talebani, con dei bastoni di legno sulla gamba. Il padre lavorava con il governo che è stato cacciato dai talebani, per questo era riuscito ad imbarcarsi subito e mettersi in salvo. Ad Abano ha cominciato una nuova vita in attesa di poter tornare ad abbracciare la sua famiglia. Con lui ora ci sono i tre ragazzi nella speranza che un giorno anche la moglie e le figlie possano raggiungerlo. «Non è facile, ma non si può vivere tutta la vita nel terrore e nascondendosi o fuggendo». Prima di salutare chiediamo al cugino di domandare ai nuovi arrivati cosa gli piacerebbe fare ora che sono in Italia. I ragazzi rispondono che vogliono imparare la lingua, studiare e poi giocare a cricket. «Lui è molto forte - dice il più grande indicando il fratello coadiuvato dal più piccolo che lo indica ridendo - gioca davvere bene. Ci sono delle squadre di cricket qui?». 

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