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Lunedì, 29 Aprile 2024
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MERICORDO. Quando il calcio (Padova) era ancora un gioco

di Gianni Trivellato - Ricordando Rocco ed il calcio di quei tempi, sorrido al pensiero di come siano cambiati usi, costumi, abitudini, sia a livello di allenatori che di giocatori. Quest'ultimi divenuti veri e propri divi superpagati, e non solamente in serie A

Mentre il presidente Cestaro pensa come ristrutturare in parte l'Euganeo, allo stadio è stato montato il nuovo impianto acustico e il Mattino ha lanciato tra i tifosi biancoscudati una sorta di sondaggio, chiedendo quale potrebbe essere il motivo da far risuonare al momento dell'ingresso delle squadre in campo. La notizia mi ha fatto rivivere a livello di amarcord un ritornello musicale di tanti anni fa, che ''andava in onda'' tra le tribune e le scale del vecchio Appiani ai tempi di un glorioso Padova edizione serie A.

CANZONE D'ANTAN. Il testo della canzoncina diceva che ''Saran belli gli occhi neri, saran belli gli occhi blu, ma le gambe, ma le gambe, a noi piacciono di più''. Il tutto ovviamente finalizzato alla pubblicità di una nota fabbrica di calze femminili. Ora non è che io voglia proporre la riedizione di questo motivo, ci mancherebbe! Ma il riesumarlo dalla memoria mi ha offerto l'opportunità di fare, da una parte una considerazione, e da un'altra di ricordare un personaggio che tanto ha dato alla nostra città e non solamente in termini strettamente calcistici.

PUBBLICO DA SERIE A. Nel primo caso si tratta di un monito, rivolto a quanti affermano che il pubblico biancoscudato non è un pubblico da serie A. Giudizio clamorosamente smentito dalla storia e quindi dal passato della società patavina, e non solamente per il terzo posto ottenuto negli anni Sessanta (e a proposito del quale ci sarebbero da avanzare molte riserve sulla vittoria finale ottenuta dalla Juventus...); ma anche per gli allori ed il prestigio conquistati nell'anteguerra che avevano giustamente riconosciuto il Padova come una delle squadre più nobili d'Italia.

NEREO ROCCO. Nel secondo caso mi riferisco al grande Nereo Rocco, lo storico ''paron'' del nostro calcio. Un personaggio d'altri tempi, comunque dotato di un indiscutibile carisma, divenuto celebre non solamente per le sue doti di tecnico, ma anche per il suo colorito intercalare, tipicamente triestino, bonario ma insieme anche sferzante, come quando richiamando un giocatore (e qualche volta anche un giornalista) gli dava del ''toco de mona''. Sapeva comunque fare dell'ironia anche su se stesso, arrivando spesso a dire, all'epoca dei suoi grandi trionfi con il Milan, che mentre a Milano lo chiamavano il commendator Rocco, a Trieste ''son sempre quel mona de becher!''.

IL "PARON". Un giorno a Padova un cronista gli chiese di spiegare come riuscisse a far correre per novanta minuti i ''vecchietti'' della sua squadra, gente che aveva superato da tempo le verdi primavere. ''Sembrano drogati...'' azzardò il cronista. Rocco lo bruciò con lo sguardo e poi gli rispose sarcasticamente che ''quasi tutti i giorni noi se droghemo con la pasta e fasoi, bisteca de caval e un bicer de vin''. Quando fu insignito del cavalierato per meriti sportivi, conversando con i giornalisti ad un certo punto Rocco disse: “Cossa disio muli? Ve pare che i no' gaveva altri mone de darghe sto titolo?''. Il ''paron'' era una persona che al primo impatto lo giudicavi un burbero, uno insomma dai modi bruschi, mentre in realtà era un uomo dall'animo semplice, che amava molto la professione cui ha dedicato praticamente tutta la vita. Un uomo dal carattere fermo e determinato, ma che sicuramente rifuggiva dalla violenza.

IL DERBY. Un giorno al vecchio Appiani si gioca il derby tra Padova e Vicenza. Nelle file vicentine gioca un tipo pericoloso, una mezza punta che si chiama Sergio Campana. Prima della gara Rocco dà ai suoi le ultime istruzioni e in particolare chiede ad uno dei suoi ''panzer'', Gastone Zanon, di marcare Campana. ''Non devi lasciargli spazi - gli dice - e lo devi marcare stretto''. Si gioca il primo tempo e in un'azione offensiva del Vicenza Zanon entra duro a forbice sulle caviglie di Campana che ruzzola a terra, per fortuna senza gravi conseguenze, ma in verità Zanon poteva fargli molto male. Al termine del primo tempo, mentre le squadre rientrano negli spogliatoi, Rocco si avvicina al suo ''panzer'' e lo apostrofa bonariamente: ''Te g'ho dito de marcarlo, no de coparlo!''.

ALTRI TEMPI. Ricordando Rocco ed il calcio di quei tempi, sorrido al pensiero di come siano cambiati usi, costumi, abitudini, sia a livello di allenatori che di giocatori. Quest'ultimi divenuti veri e propri divi superpagati, e non solamente in serie A. Gente che, soprattutto nelle maggiori squadre, viaggia in Mercedes o in Porsche. Ai suoi ''panzer'' Rocco imponeva di arrivare allo stadio, per gli allenamenti, a piedi.

QUANDO IL CALCIO ERA ANCORA UN GIOCO. Un giorno arriva al Padova un centravanti che la critica ufficiale battezza come un campione ormai finito, nonostante ancora la giovane età. Il suo nome è Sergio Brighenti, arriva dalla Sampdoria grassoccio e tutt'altro che atletico. Rocco decide che può essere ancora valido per la squadra, e decide di recuperarlo. Ma lo fa a modo suo. Il vecchio stadio Appiani è custodito da una coppia di signori di mezza età, la moglie si chiama Antonietta e quando fa il bucato va a stendere i panni in cima alle gradinate. "Vedi quelle lenzuola lassù”, dice il paron a Brighenti. ''Ora tu, terminato l'allenamento e mentre i tuoi compagni rientrano negli spogliatoi, sali in cima e riporti giù un lenzuolo alla volta!''. Cinquantasei gradini per salire e altrettanti per ridiscendere, una decina di pezzi di biancheria da riportare sul prato. In quella stagione Brighenti ritrova il suo antico smalto di gran cannoniere e finisce addirittura in nazionale. Davvero un calcio d'altri tempi, un calcio che era in gran parte ancora un gioco...

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