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Tutti gli studenti afghani del Bo sono al sicuro: 50 borse di studio già assegnate

Ne restavano sette bloccati a Kabul, ora sono in Pakistan. A raccogliere l'appello di due di loro è stato il giornalista freelance Claudio Locatelli, ex allievo della rettrice Mapelli

Stanno arrivando. Gli studenti afghani bloccati nel Paese d’origine dopo la presa di potere dei talebani sono finalmente liberi e presto arriveranno a Padova dove il Bo li aspetta a braccia aperte.

Gli studenti

L’annuncio lo dà la rettrice Daniela Mapelli nella mattinata di martedì 19 ottobre: «Ricordo quando abbiamo saputo che i talebani avevano riconquistato l’Afghanistan – dice – Era una domenica di metà agosto. Subito il pensiero è andato ai 17 studenti afghani immatricolati. Rosario Rizzuto ed io siamo subito rientrati e ci siamo messi al lavoro. Fondamentale è stata la sinergia con altre università, il Ministero degli Esteri, il Comune. Abbiamo stilato una lista, inviata al console in Afghanistan, con i nomi degli studenti». Poi l’attentato. L’iniziale perdita dei contatti. Dieci sono riusciti a raggiungere Paesi vicini come la Turchia, la Russia, il Pakistan. «Sette restavano bloccati. Ieri è arrivato il messaggio che sono tutti a Islamabad – il sollievo sul volto di Mapelli è evidente – Quattro sono già qui, gli altri arriveranno man mano». Il Bo ha messo a disposizione anche 50 borse di studio da 12 mila euro l’anno ciascuna perché gli afghani giunti in Italia e in Europa devono in qualche modo ricominciare. Molti hanno dovuto bruciare i documenti, sono arrivati senza niente. «Abbiamo ricevuto 103 richieste e abbiamo dato la precedenza alle donne visto che sono la categoria più colpita dal cambio di governo – spiegano la prorettrice alle Relazioni internazionali, Cristina Basso, e la dirigente di Area relazioni internazionali, Dora Longoni – Le 50 borse sono già tutte in assegnazione. Altre 50 saranno erogate con un fundraising con altre realtà locali. Purtroppo il visto vale solo per gli studenti, hanno dovuto lasciare le loro famiglie».

L’appello

A raccogliere la richiesta di aiuto di due degli studenti che fino all’altro giorno erano bloccati a Kabul è stato il giornalista freelance Claudio Locatelli, per altro ex allievo di Mapelli. «Non bisogna abbassare i riflettori, dobbiamo continuare a parlarne – dice – Quando sono stato lì ho intervistato il portavoce dei talebani e ho colto subito la falsità delle sue parole. Qui, invece, ho trovato cuore e determinazione». I due studenti, assieme agli altri 5, si erano presentati all’aeroporto di Kabul lo scorso 26 agosto. «Tenevo la busta con scritto “Università di Padova” davanti al volto perché capissero subito che eravamo nelle liste – racconta uno di loro – Poi l’esplosione. La busta mi ha riparato il viso dalla polvere e dal sangue. Ho perso i miei colleghi e ho cercato un taxi per tornare a casa. I miei vicini mi hanno visto, avrebbero detto ai talebani che avevo cercato di scappare. Qui non siamo al sicuro, non c’è futuro». Hanno dovuto cambiare casa ogni giorno per non essere catturati. «Ero lì con mia moglie e i miei due bambini – racconta l’altro – Per non perdere i miei figli mi sono allontanato da mia moglie, credevo fosse morta. Poi l’ho vista arrivare senza scarpe, senza borsa. Non credete ai talebani». Un appello che ha fatto breccia anche in Francesca Benciolini, assessore ai Diritti umani del Comune: «Stiamo ancora lavorando per riportare indietro quelle persone che lavorano qui ma che erano tornate per l’estate in Afghanistan». Il lavoro non è finito.

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