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Influenza aviaria, altri due focolai nella Bassa Padovana: convocata l'unità di crisi regionale

Salgono quindi a tre i focolai rilevati, e con numeri a dir poco significativi: sono infatti già stati abbattuti 21.500 tacchini, 98mila polli e 20mila faraone

Da uno a tre nel giro di pochi giorni. E il campanello d'allarme, inevitabilmente, suona sempre più forte: aleggia sulla Bassa Padovana un incubo chiamato "influenza aviaria".

Influenza aviaria

Dopo il primo focolaio rilevato nei giorni scorsi a Sant'Urbano, infatti, nello stesso Comune oggi, venerdì 17 novembre, ne sono stati comprovati altri due, con numeri a dir poco significativi: sono infatti già stati abbattuti 21.500 tacchini, 98mila polli e 20mila faraone. Il rischio di allargamento del fronte della malattia ha portato le autorità sanitarie regionali a convocare un'unità di crisi alle ore 16, in modo da limitare i danni. 

Cosa sappiamo di questo virus

Ma cos'è nello specifico l'H5N1 e perché rappresenta un pericolo così temibile? Questa malattia virale colpisce prevalentemente i volatili ed è stata identificata per la prima volta in Italia più di un secolo fa. Solitamente, gli uccelli infettati non si ammalano, ma possono essere molto contagiosi per altri uccelli domestici come polli, anatre, tacchini e altri animali da cortile che sono più a contatto con l'uomo. La malattia può manifestarsi in forme molto diverse, da quelle leggere a quelle altamente patogeniche. "Se causata da una forma altamente patogenica" specifica l'istituto superiore di sanità (Iss), "la malattia insorge in modo improvviso, seguita da una morte rapida quasi nel 100% dei casi". Il virus H5N1, scoperto nel 1997, è solo uno dei sottotipi di questo virus, ma è il più pericoloso "per la sua capacità - scrive l'Iss - di mutare rapidamente e di acquisire geni da virus che infettano altre specie animali". Solo dal 2003 è stato accertato che il virus può contagiare direttamente anche gli esseri umani. H5N1 rappresenta un problema soprattutto perché nel tempo è stato in grado di fare una serie di "salti di specie, acquisendo la capacità di contagiare anche gatti e topi", specifica ancora l'Iss, diventando così "un problema di salute pubblica ben più preoccupante". Ad oggi non è stato documentato nessun caso di trasmissione da uomo a uomo, tuttavia si teme che "la compresenza del virus aviario con quello dell'influenza umana, in una persona infettata da entrambi, faciliti la ricombinazione di H5N1 e lo renda capace di trasmettersi nella popolazione umana". 

Il rischio di un nuovo salto di specie

Quanto dobbiamo essere preoccupati? Da fine 2021 il mondo sta vivendo una delle peggiori epidemie globali di H51N1 con milioni di volatili abbattuti e sono stati segnalati casi anche nei mammiferi, tra cui volpi e lontre. Uno dei problemi dell'H5N1 è la capacità di infettare animali a stretto contatto con l'uomo, tra cui i maiali. Una caratteristica che potrebbe favorire il salto di specie definitivo. Quello che ci metterebbe nei guai. Al momento per l'Oms non c'è il rischio di una pandemia anche se "il virus continua a essere rilevato nelle popolazioni di pollame" e "si possono prevedere ulteriori casi umani". "Sebbene sia in attesa di un'ulteriore caratterizzazione del virus rispetto agli ultimi casi umani, le prove epidemiologiche e virologiche disponibili suggeriscono che gli attuali virus A(H5) - precisa l'Oms - non hanno acquisito la capacità di una trasmissione tra gli esseri umani, quindi la probabilità di una diffusione 'sostenuta' da uomo a uomo è bassa". Tuttavia, fa notare Claudio Mastroianni, professore ordinario di Malattie infettive all'Università Sapienza di Roma, «occorre tenera alta l'attenzione, perché se si dovesse diffondere molto tra i mammiferi potrebbe anche accadere un salto di specie. Quindi, massima sorveglianza soprattutto negli allevamenti». Preoccuparsi è lecito, allarmarsi no. «Un possibile rischio pandemico su questo fronte - dice l'esperto all'Adnkronos - non è notizia di oggi, sono anni che gli esperti tengono sotto controllo la sua evoluzione».  

Come avviene il contagio tra animale e uomo

Per gli esseri umani il principale fattore di rischio è l'esposizione in ambienti contaminati con alta carica virale e a stretto contatto con gli animali infetti, vivi o morti. Queste situazioni di rischio possono verificarsi in mercati di uccelli vivi, nelle diverse fasi della lavorazione del pollame, come la macellazione, la spiumatura, la manipolazione delle carcasse. «La possibilità che passi all'uomo - argomenta Giuseppe Remuzzi, direttore dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs - c'è già e si è già vista. Ma la persona deve venire in contatto molto ravvicinato con un volatile infetto, vivo o morto, o con delle superfici contaminate da liquidi o materiale biologico di animali infetti. Nei Paesi dove ci sono più facilmente questi passaggi dell'animale all'uomo le persone vivono con i polli in casa o comunque a stretto contatto con pollame».

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