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Lunedì, 29 Aprile 2024

Corte d'appello riconosce a vedova di un lavoratore del cementificio di Monselice il diritto all'Inail

La sentenza rappresenta un precedente importante, riconosce il possibile nesso tra la nocività nell’ambiente di lavoro, con le malattie e i decessi dei soggetti impiegati nel ciclo di produzione del cemento. La lunga battaglia del "Comitato lasciateci respirare"

Una sentenza che appresenta un precedente importante, perché finalmente riconosce il possibile nesso tra la nocività nell’ambiente di lavoro, con le malattie e i decessi dei soggetti impiegati nel ciclo di produzione del cemento. Purtroppo, di decine e decine di casi. La Corte di Appello, all’esito di una seconda consulenza medico legale riconosceva il diritto della vedova di un lavoratore del cementificio, deceduto, a beneficiare della rendita Inail con arretrati e interessi legali. La vicenda nasce diversi anni fa. Nel novembre 2014 infatti, il Comitato popolare "Lasciateci Respirare", si è rivolto all’avvocato Stefano Zarabara, per la tutela dei diritti delle famiglie dei lavoratori già dipendenti delle cementerie di Monselice ed Este e deceduti a seguito di patologie varie, oppure viventi ed ammalati.

In un primo incontro tra il legale e un gruppo di famigliari di ex dipendenti dei cementifici, erano state illustrate le patologie che potevano aver avuto origine da un’esposizione di tipo professionale, ed i diritti che ne conseguono in capo ai familiari o agli interessati, se viventi. Si era inoltre chiarito che le azioni legali relative potevano rivolgersi contro l'INAIL, per ottenere una rendita per malattia professionale a favore della vedova qualora si riuscisse a dimostrare che si trattava di malattia professionale. Si era precisato che questo tipo di cause potevano interessare anche i tutti dipendenti delle ditte in appalto.

A seguito di questi incontri e alla ricerca del materiale documentale, nel 2016 una vedova assistita dall’Avv. Stefano Zarabara e con il supporto del Comitato, si rivolgeva al Tribunale di Padova sez. lavoro al fine di far accertare e dichiarare la natura professionale della patologia che colpiva a morte il proprio coniuge (tumore polmonare) e affinché venisse conseguentemente condannato l’INAIL al pagamento a suo favore dell’assegno una tantum e della rendita di cui agli artt. 85 t.u. 1124/65 e succ. mod. con arretrati e interessi di legge.

Il marito, dall'anno 1973 all'anno 2011 aveva svolto mansioni di operaio manutentore, carpentiere e successivamente capo squadra manutenzione, alle dipendenze di due ditte che curavano la manutenzione dei grandi siti industriali quali le cementerie di Monselice ed Este. Nel corso della sua carriera professionale veniva esposto a pericolose sostanze nocive quali amianto e polveri e fumi contenenti metalli pesanti, Ipa e diossine. Il Giudice di primo grado disponeva perizia medico legale al fine di accertare se il decesso fosse in nesso di causa con le lavorazioni effettuate e con le sostanze inalate.

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La perizia riconosceva che la patologia fosse in nesso eziologico con il tabagismo (il deceduto era un fumatore), ma che ciò non escludeva la rilevanza causale anche dell’amianto. All’esito della perizia si chiedeva al Giudice di sentire i testimoni, in modo da poter descrivere quelle che erano le occasioni di esposizione e le modalità di lavoro. Il Tribunale di Padova, con sentenza del 21.5.2019 respingeva tale istanza istruttoria e inspiegabilmente emetteva una sentenza di rigetto, per non avere la ricorrente, fornito la prova delle mansioni svolte.

Si è quindi proposto un ricorso alla Corte di Appello di Venezia in data 30.7.2019, con il quale, evidenziato che la perizia medico legale aveva accertato il ruolo concausale di amianto e fumo nella determinazione della malattia, chiedevamo fossero sentiti i testimoni non escussi in primo grado, al fine di descrivere le mansioni del lavoratore. La Corte accoglieva la richiesta, ma dopo aver sentito il testimone, disponeva una nuova consulenza medico legale. Anche il secondo consulente d’ufficio, allineandosi con quanto già accertato dal primo, riconosceva il carattere professionale della malattia, accertando che ambedue le esposizioni (fumo e amianto), avevano avuto un’entità molto significativa e concludendo che ambedue i fattori avevano avuto un ruolo rilevante, non essendovi elementi tecnico scientifici a disposizione per poter  “dividere” il contributo rilevante dell’uno e dell’altro. La Corte di Appello dunque, all’esito della seconda consulenza medico legale riconosceva il diritto della vedova a beneficiare della rendita Inail con arretrati e interessi legali.

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