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Un esercito per sconfiggere il Covid: gli 11 "Cavalieri della Repubblica" dell'Ulss 6 Euganea si raccontano

Un riconoscimento che va a valorizzare il particolare impegno profuso in contrasto alla pandemia, un’onorificenza a titolo personale che punta però a premiare un enorme lavoro di squadra e sforzo corale, nel quale sono ancora coinvolti tutti i dipendenti

Un riconoscimento che va a valorizzare il particolare impegno profuso in contrasto alla pandemia, un’onorificenza a titolo personale che punta però a premiare un enorme lavoro di squadra e sforzo corale, nel quale sono coinvolti, in una staffetta quotidiana e ancora in corso, tutti i dipendenti e collaboratori dell'azienda, ad ogni livello e con ogni tipo di incarico e responsabilità. Sono undici i Cavalieri della Repubblica dell’Ulss 6 Euganea, uomini e donne della sanità padovana che, per il loro fondamentale contributo nella gestione e nel contrasto della pandemia di Covid-19, si sono meritati una delle più alte onorificenze riconosciute nel nostro Paese per i servigi resi nell’interesse della nazione.

Cavalieri

A nominarli Cavalieri dell’Ordine “Al merito della Repubblica Italiana” il 27 dicembre scorso, ricorrenza della promulgazione della Costituzione italiana, è stato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri. Mercoledì 15 settembre riceveranno il riconoscimento dal Prefetto di Padova Raffaele Grassi, alle ore 17 nella sede della Prefettura. «Sono emozionato e orgoglioso - dichiara il Direttore Generale dell’Ulss 6 Euganea, Paolo Fortuna - di questo riconoscimento che implicitamente è esteso a tutti i lavoratori dell’Azienda. Pur nella sua drammaticità, l’epidemia si è trovata di fronte un’Azienda, intesa come Ospedale, Distretti socio-sanitari, Dipartimento di Prevenzione, che si è fortemente compattata verso un unico obiettivo: sconfiggere il virus. Con questo spirito di squadra il nostro impegno sta continuando in una attività che, da “corsa di velocità” si è trasformata in “corsa di resistenza”, che richiede costanza, tenacia, aiuto reciproco e solide motivazioni che solo il gruppo può dare».

Elenco

Un lavoro corale, a staffetta: a venire insigniti del Cavalierato saranno l’allora Direttore Generale, dottor Domenico Scibetta, l’allora Direttore Sanitario dottoressa Patrizia Benini, quindi la dottoressa Ivana Simoncello (Direttore Dipartimento Prevenzione), la dottoressa Lorena Gottardello (UOC Prevenzione), il dottor Fabio Baratto (Direttore UOC Anestesia e Rianimazione dell’Ospedale di Schiavonia), la dottoressa Lucia Anna Carmela Leone (Direttore UOC Medicina Generale di Schiavonia), la dottoressa Maria Rita Marchi (Direttore UOC Pneumologia dell’Ospedale di Cittadella), il dottor Gianclaudio Falasco (Direttore UOC Anestesia e Rianimazione dell’Ospedale di Piove di Sacco), il dottor Giacomo Mezzapelle (biologo presso l’UOC Laboratorio Analisi di Schiavonia), il dottor Alfeo Bonato (già direttore facente funzione dell’UOC Anestesia e Rianimazione di Cittadella) e Fiorella Pelus, infermiera coordinatrice.

Fabio Baratto

Fabio Baratto: «Il Covid in Terapia Intensiva è una delle prove più difficili che un medico possa affrontare, non solo dal punto di vista clinico-scientifico, ma anche e soprattutto dal punto di vista della fatica psicologica ed emozionale. Questo Cavalierato è un riconoscimento rivolto a tutti i miei colleghi che da più di un anno si sacrificano con dedizione, professionalità e competenza alla lotta contro il virus».

Patrizia Benini

Patrizia Benini: «Ricevere questa onorificenza è per me motivo di orgoglio per il significato che riveste, perchè va a riconoscere il grande lavoro svolto durante la pandemia per cercare di dare risposte rapide ed il più adeguate possibili alla situazione nuova e fluida che si andava delineando e via via modificando, che richiedeva decisioni ragionate, operative e veloci. Ma la soddisfazione più rilevante è che questo riconoscimento viene dato a una squadra, quella dell’Ulss 6 Euganea, nella quale ho avuto l’onore di lavorare come direttore sanitario. I risultati sono sempre frutto e conseguenza di grandi collaborazioni e il Covid-19, oltre a portarci tutto quello che di rivoluzionario, doloroso, faticoso già sappiamo, ha fatto in modo che emergessero sentimenti positivi e forti come la disponibilità, il senso del sacrificio, la voglia di collaborare e di fare comunità. Oltre al distanziamento sociale il Coronavirus ci ha fatto riscoprire il valore incommensurabile della parola "insieme", abituandoci a portarci appresso una vicinanza emotiva che credo, spero, non andrà perduta».

Alfeo Bonato

Alfeo Bonato: «All’inizio era confusione, smarrimento, pensiero di non farcela, paura di qualcosa di sconosciuto, di nuovo, paura di ammalarsi e di far ammalare. Ho visto sguardi che facevano trasparire emozioni che difficilmente si possono descrivere a parole, lacrime dei familiari che non potevano assistere ai loro cari o vegliarli dopo la morte, paura di non riuscire a resistere dentro ai nostri scafandri, ma ho visto anche tanti sorrisi che ci incoraggiavano ad andare avanti. La gestione dell’emergenza era quotidiana, i nostri livelli di allerta erano alti ma nessuno si è mai tirato indietro nel fare il proprio dovere di professionista. E’ cambiato il modo di collaborare tra i colleghi: oltre a professionalità e competenza si è sviluppato un gran senso di adattamento, disponibilità, rispetto, dialogo, nessuna polemica, nessun no perché l’unico vero obiettivo si riconosceva nelle mani e nella testa del collega per il bene del malato. Siamo stati definiti degli eroi, degli angeli e sono sicuro che questi termini sono stati usati con stima e gratitudine, ma penso che siamo stati eroi e angeli anche prima del coronavirus; semplicemente manteniamo fede alla nostra promessa e accanto ad altre professionalità siamo in grado di dare risposte competenti per il bene e la salute delle persone e della comunità».

Gianclaudio Falasco

Gianclaudio Falasco: «Credo non vi sia mai stato un senso di impotenza e frustrazione così grandi nel cuore e nella mente di un medico che ha avuto a che fare con pazienti affetti da Covid. Quelli gravi intendo, da Rianimazione. All’inizio non si capiva perché un paziente migliorava e, in fondo in fondo, guariva e un altro portava alla fine la sua esistenza. Non terapie efficaci, scarsa risposta anche a quelle standard; ognuno di noi soffriva, nonostante l’enorme impegno e dedizione, immersi nello stesso mare d’impotenza. Poi… Abbiamo imparato... Ci rendevamo conto che no, non era umano morire così, senza che i pazienti avessero accanto qualcuno che li amava e li aveva amati, i famigliari insomma. Padri e madri, nonne e nonni, fratelli e sorelle. Erano diventati i nostri genitori, i nostri fratelli e sorelle, zii e cugini. Comunque no, non era umano. Poi… abbiamo imparato…… Gli studi, gli articoli, letti di notte fino a tardi, i ritmi assurdi, i digiuni e il sudore, dentro le tute, gli occhiali e le visiere, appannate, i respiri pesanti, nostri, le lampadine e gli allarmi dei monitor e dei ventilatori. Il giorno e la notte uguali e costanti. No, non era umano. Poi… Abbiamo imparato… Il sorriso e la riconoscenza di chi ne usciva, la rinascita e la paura di rientrare, un nuovo traguardo all’orizzonte. Un nuovo mondo. Chi ha cambiato di più? Noi o loro? Forse questo è umano. Anche qui... abbiamo imparato… Ma cosa abbiamo imparato? A gestire le nostre lacrime? Ad avere empatia per i nostri pazienti? A guardare più attentamente negli occhi di queste assurde esistenze? A rivolgerci a Qualcuno che ci aveva dimenticato? Ad essere più umani e tolleranti con tutti quelli che camminano su questa terra? Scegliete voi la risposta. Forse è dentro di noi, da qualche parte».

Lorena Gottardello

Lorena Gottardello: «Quel pomeriggio del 21 febbraio abbiamo capito subito che eravamo di fronte ad una pandemia che prima o dopo sarebbe capitata. Ma non avevamo capito le dimensioni mondiali che avrebbe avuto e la sua durate e di conseguenza l'impatto sulle nostre vite. Personalmente l'ho presa subito come una sfida professionale ed umana, con la necessità di riorganizzare velocemente le nostre vite sia private che professionali. Ricordo le persone alle quali telefonavamo per l'inchiesta epidemiologica che non capivano quello che stava succedendo ed alcuni avevano perso i loro cari; cercavamo di rassicurarli ed avere per loro una parola di conforto. Ora c'è la difficoltà di fare capire che l'epidemia continuerà per molto tempo e che sono ancora necessarie le misure igieniche, l'isolamento, la vaccinazione e la collaborazione di tutti. Ricordo l'entusiasmo dei giovani che rimanevano con noi fino a serata inoltrata anche di sabato e domenica, ma anche la stanchezza che è durata per mesi. Ricordo l'impegno psicologico per l’evoluzione dell’organizzazone: dapprima i tamponi e il contact tracing, poi a dicembre le vaccinazioni Covid, poi a giugno il Green Pass, poi a luglio la gestione degli operatori no vax . Ora la gestione contemporanea di tutto questo. Quello che ci ha confortati in questo lungo e faticoso percorso è la certezza che il nostro lavoro è importante, migliora la vita di tutti e salva vite umane. Quello che ci ha favorevolmente sorpresi è la tecnologia scientifica che ci ha dato un'arma potente e sicura come i vaccini anti-Covid in così breve tempo. Quello che ci fa rabbia è la stupidità di qualche "negazionista" che non vuole vedere cosa è successo e non ha rispetto della salute degli altri. Questo riconoscimento è importante perché va al lavoro di squadra. Come dico sempre ai miei collaboratori: da soli non si va da nessuna parte». 

Lucia Leone

Lucia Leone: «Cosa è stato/è per me il Covid? Uno Tsunami! Come uno Tsunami ha messo in ginocchio i sistemi sanitari di tutto il mondo, compresi i paesi più sviluppati; ha travolto e stravolto le nostre vite; ha travolto e stravolto tutti noi del mondo sanitario: medici e infermieri costretti a curare una patologia di cui non sapevamo assolutamente nulla ma che dovevamo fronteggiare e curare. Tutti assieme ci siamo attivati per rispondere al meglio a questa sfida con un grande spirito di sacrificio e collaborazione. In questo scenario lo scotto psicologico che tutti noi abbiamo e stiamo ancora pagando ha avuto conseguenze che non sono certo scomparse ma semmai ci hanno fatto prendere coscienza della nostra forza nella risposta a gravi eventi ma anche della nostra fragilità e resi consapevoli che il 2020 è un anno spartiacque: c’è un prima e un dopo la pandemia. Oggi sappiamo che dobbiamo proseguire in questa lotta guardando al futuro in una ottica diversa e mettere in atto cambiamenti in grado di rispondere prontamente a grandi emergenze planetarie con forze umane, strutture e formazione. Ma dobbiamo anche rispondere ai bisogni di cura di tutte le altre patologie non covid che vengono avanti come una pandemia parallela. Il titolo di Cavaliere rappresenta un grande riconoscimento istituzionale per tutto l’impegno dimostrato, la fatica, il coraggio, la dedizione al lavoro svolto. Un riconoscimento non limitato alla singola persona ma a tutti i medici, infermieri, operatori e coordinatori del mio reparto, un reparto non nato per gestire emergenze di questo tipo ma che improvvisamente si è trovato a fronteggiare tutto questo e ha saputo dare una grande risposta con un lavoro incessante che ha trovato nel gruppo la sua forza. La pandemia ci ha impartito una forte lezione: se ne esce solo se il Covid viene affrontato come sanità pubblica / società/ collettività e non individualmente. La via più adeguata a fianco alle cure rimane la prevenzione attraverso i vaccini. C’è ancora tempo per vaccinarsi e non c’è più tempo per rimandare».

Maria Rita Marchi

Maria Rita Marchi: «Ho la perfetta consapevolezza dell'onore derivante da tale riconoscimento e della responsabilità di esserne all'altezza in ogni occasione che caratterizza e caratterizzerà il mio operato di donna, mamma, e medico. Quando svolgi il tuo dovere professionale, che vivi come una missione, ogni momento della tua giornata lavorativa è dedicato a garantire uno stato di salute e l'eccezionalità degli eventi come quella che stiamo vivendo, cerchi di considerarla la tua quotidianità e ti sforzi per dare il meglio come operatore sanitario. Lo tsunami pandemico Covid ci ha travolto ma non sepolto. Ne siamo emersi subito, con angoscia e determinazione ed è proprio la stessa determinazione che a tutt'oggi guida le nostre scelte professionali di continuare a curare in prima linea i pazienti affetti da malattia Covid. Continueremo instancabili a curare l'acuzie ed a tentare di prevenire la malattia stessa esortando ad attuare i protocolli vaccinali. Dedico questa Onorificenza a mio padre che mi ha insegnato ad essere resiliente ed ad onorare lo Stato sin dall'infanzia, nella Sicilia degli anni Ottanta ...alla mia famiglia ed ai miei collaboratori».

Giacomo Mezzapelle

Giacomo Mezzapelle: «Il ricordo di quel venerdì 21 febbraio 2020 è tuttora nitido; si diagnosticava il primo caso di SARS-CoV-2 nel Veneto e l’Ospedale di Schiavonia, presidiato dalle forze dell’Ordine, veniva messo in quarantena. Allo sgomento iniziale è immediatamente subentrato un forte senso di responsabilità verso la collettività. La consapevolezza di quello che stava accadendo ha fatto sì che tutto il personale del Laboratorio Analisi (Dirigenti, Tecnici di Laboratorio, infermieri, personale OSS) si compattasse in un unico gruppo con l’obiettivo comune di implementare la diagnostica molecolare per SARS-CoV-2 e processare il più elevato numero possibile di tamponi molecolari agevolando così il Servizio di Igiene e Sanità Pubblica nel contact tracing. La coesione e il forte spirito di gruppo ci accompagnano tutt’ora permettendo di superare le sfide quotidiane sempre in divenire, ultima in ordine di tempo la diagnostica molecolare da campione di saliva. Noi del Laboratorio Analisi di Schiavonia, cosi come tutti i sanitari dell’Ulss 6 Euganea ce la stiamo mettendo tutta, ma per sconfiggere questo virus e tornare ad una vita più serena con meno restrizioni e soprattutto senza morti di Covid-19 è fondamentale vaccinarsi… vaccinarsi… vaccinarsi… Ringrazio il mio ex primario dott. Fabio Manoni per averci guidato brillantemente in un momento assai difficile, sempre presente fino al giorno prima della sua quiescenza. Ringrazio i colleghi Dirigenti tutti per la loro abnegazione. Ringrazio soprattutto i tecnici di laboratorio, i quali si sono adoperati incessantemente giorno e notte. Condivido con tutti loro l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine “Al merito della Repubblica Italiana».

Fiorella Pelus

Fiorella Pelus: «Da anni lavoro presso il Servizio delle Professioni Sanitarie Area Territoriale dell’Azienda ULSS6 Euganea (servizio che collabora con la Direzione Sanitaria e sociale per la Gestione/organizzazione delle professioni sanitarie, tecniche, riabilitative, della prevenzione. Ci tengo a sottolineare che il riconoscimento di Cavaliere al Merito è un riconoscimento che voglio condividere con tutti i colleghi. E’ da dividere con tutti, in primis con tutti le dirigenti, i colleghi del Servizio delle professioni sanitarie, con tutti i coordinatori/coordinatrici, personale delle professioni sanitarie e personale di supporto. E’ stato un lavoro di squadra con un obiettivo comune: rispondere all’emergenza Covid e tutelare il più possibile la salute dei cittadini. Ciò è stato possibile attraverso: gli screening sulla popolazione, l’effettuazione di test diagnostici (di laboratorio e di radiologia), la cura e l’assistenza delle persone nelle Unità Operative Ospedaliere e a domicilio. Tutti noi abbiamo capito che saremmo stati chiamati a rispondere ad una situazione che non avevamo mai affrontato, una malattia che non conoscevamo sia dal punto di vista epidemiologico che clinico. Non eravamo preparati ma siamo partiti. Come sempre, ancora una volta, la disponibilità della nostra professione si è vista ed è stata tangibile. Ci è stata chiesta la disponibilità a costituire una equipe infermieristica che potesse andare presso il comune di Vò Euganeo per eseguire il primo screening di massa in Italia per Sars CoV2 – COVID 19 sull’intera popolazione. L’eccezionalità è nella tempistica della richiesta, giunta alle ore 20:00 di sabato 22 febbraio 2020 per il giorno successivo alle ore 13:00, dovendo agire nell’immediatezza per circoscrivere il primo focolaio di infezione veneto, e nell’intervento che si può definire pioneristico, ma soprattutto nell’organizzare un piano di screening così ampio rivolto ad una popolazione. Quel giorno io lo definisco l’INIZIO, da quella domenica c’è stato un coinvolgimento totale. Non nego che la paura di entrare in contatto con il virus mi ha accompagnato per un lungo periodo e ancora oggi questo pensiero è presente. Un po’ di sollievo mi è stato dato quando abbiamo avuto, come personale sanitario, la possibilità di vaccinarci, e spero vivamente che questa opportunità sia colta da coloro che sono ancora titubanti. Il nostro dovere è quello di preservare la salute della popolazione e il vaccino può contribuire a tal fine. Dedico questo riconoscimento alla mia famiglia che tante volte con pazienza mi ha atteso».

Domenico Scibetta

Domenico Scibetta: «Il Coronavirus si è abbattuto sulle nostre vite con la violenza e la forza oscura di un uragano, scrollando ogni nostra certezza in tutti i campi, pubblici e privati. Il ruolo al vertice della Sanità della provincia di Padova è stato come essere nell’occhio del ciclone, consapevole che sotto una grave minaccia alla vita stessa della nostra comunità bisognava chiamare a raccolta tutte le nostre energie, dar fondo alla nostra esperienza per contrastare l’invisibile nemico. Decisioni rapide, in situazioni di grande incertezza, assunte concordemente con tutto lo staff di direttori e collaboratori, dimostratisi tutti all’altezza della situazione. Con dedizione e sacrificio. Confortati però dalla certezza che il nostro solido sistema sanitario Veneto avrebbe saputo rispondere alla grande sfida che la pandemia ci lanciava. E’ stato un grande gioco di squadra, che ha coinvolto anche i sindaci che non hanno mai fatto mancare collaborazione e supporto, un gioco di squadra che oggi ottiene dal Capo dello Stato, per tramite del Prefetto, il più alto riconoscimento. Tale riconoscimento va ovviamente e simbolicamente esteso a tutti gli operatori sanitari della Ulss Euganea, a tutti coloro che se lo sono guadagnato sul campo e di cui oggi è presente una rappresentanza. I nostri sforzi sono stati coronati dal successo grazie anche all’efficacia della vaccinazione a cui tutti dovremmo con convinzione sottoporci. Dedico questo riconoscimento a mia moglie Mirella e a mia figlia Chiara che leggevano in silenzio nel mio sguardo tutte le mie preoccupazioni, le angosce e, perché no, anche la paura! E sempre mi hanno sostenuto. Ma dedico l’onorificenza anche a tutti coloro per i quali abbiamo fatto il massimo ma non ce l’hanno fatta!».

Ivana Simoncello

Ivana Simoncello: «Prima del Covid il Dipartimento di Prevenzione era misconosciuto, poi è diventato tutto d’un colpo il centro del mondo. Ricordo la concitazione, la fatica, la responsabilità, siamo arrivati anche a mille positivi al giorno... La cosa più bella: mi sono trovata a lavorare con giovani professionisti appassionati, che hanno dimostrato una disponibilità immensa, e hanno messo molta farina del loro sacco, e ancora oggi mi rendono orgogliosa. La cosa più brutta: tutti i morti che abbiamo visto, soprattutto nelle case di riposo, occupandoci noi del territorio. Il vaccino ha sicuramente cambiato le sorti dei fragili».

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