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Venerdì, 26 Aprile 2024

Dall'Ucraina a Padova, la speranza per i profughi arriva dai volontari

Dopo 19 ore di viaggio e circa mille e trecento km percorsi, il convoglio umanitario partito da Padova è giunto a Przemysil - Medyka. Non convince affatto il piano di accoglienza del governo polacco che appare fallace

Dopo 19 ore di viaggio e circa mille e trecento km percorsi, il convoglio umanitario che è partito all’alba dal capolinea sud di Padova è finalmente giunto a destinazione. E’ Przemysil la città a pochi km dal confine tra Polonia, dove ci troviamo, e l’Ucraina, il punto di incontro per tante organizzazioni umanitarie che sono arrivate per qui per portare aiuti e accompagnare questi profughi in luoghi sicuri. Nel caso della spedizione organizzata da Confapi che ha visto l’adesione di Croce Verde, Protezione Civili e altre realtà associative della provincia di Padova e non solo, i sette van, il pullman e l’ambulanza, dopo che, nella mattinata di sabato sarà scaricato tutto il materiale raccolto attraverso donazioni sarà consegnato, ripartirà alla volta di Padova carico di persone in fuga dalla guerra. L’hub dove vengono concentrate queste persone in attesa di partire è in realtà un centro commerciale dismesso. Ogni spazio è gestito da una organizzazione internazionale, tra queste la Protezione Civile italiana. Nello spazio assegnatogli dormono circa trecento persone. Un enorme stanzone dove, vicini uno all’altro, riposano anziani, donne e tantissimi bambini. Oltre alla Protezione Civile italiana ci sono organizzazioni di volontari provenienti da Israele, Spagna, Gran Bretagna, Francia, Canada e altri Paesi. Per registrare l’ingresso giovanissimi scout provenienti dalla Lituania. Molti non parlano neppure inglese. Eppure sono loro il primo filtro per la registrazione e di conseguenza per la primissima accoglienza. Vale per chi arriva, come nel caso della delegazione patavina per dare una mano, ma la stessa prassi viene utilizzata anche per i profughi. In pratica a reggere tutto il sistema di prima accoglienza sono volontari. A parte qualche poliziotto che vigila sia all’esterno che all’interno, le istituzioni della Polonia, in questo pezzo di terra a pochi km dall’Ucraina, sembrano non esserci. La sensazione viene confermata, se non peggio a dire il vero, quando si arriva a Medyka. Una piccola delegazione della spedizione infatti si è recata in questa che è la porta della salvezza per chi esce dal Paese aggredito. Lo scenario che ci troviamo di fronte è tutto fuori che rassicurante. In pratica, i profughi ucraini, dopo essere giunti alla stazione, a piedi attraversano il confine. Qui trovano un percorso, organizzato sempre da volontari di tutto il mondo, che fa sì che dopo un bel po’ di attesa si possa raggiungere da Medyka, con dei bus , l’hub di Przemysil, che è poi il centro commerciale di cui sopra. A Medyka tutto è assolutamente precario. Un volontario californiano ci racconta come funziona l’accoglienza. «Ogni giorno arrivano centinaia di persone. Cerchiamo di dar loro supporto, non solo materiale ma anche psicologico. Ci sono tanti volontari che si occupano di questo. Le persone poi sostano in fila fino a che non si liberano i posti sugli autobus, che però dopo l’una di notte interrompono il servizio fino a che non viene mattina. Così c’è chi, in tende di fortuna, passa la notte qui». Non è il solo americano giunto qui per aiutare: «Quando vedo queste persone – racconta il volontario californiano – non posso che pensare al viaggio che fece mia madre tanti anni fa, dal Messico, per arrivare negli Usa. E non c’era ancora il muro che divide i due Paesi. Eppure anche questo percorso che ogni giorno centinaia e centinaia di persone percorrono ricorda la tragedia degli immigrati che dal centro e sud America cercano di rifarsi una vita negli Usa». Nella delegazione che è giunta fino qui, c’è anche Stefano Pozzi, uno che fino a che è stato possibile, ha operato in Afghanistan: «E’ bellissimo vedere così tante persone darsi da fare per altri. La risposta migliore anche questa volta arriva dal volontariato. Ma non si può non notare che circa a un mese dall’inizio del conflitto manca l’organizzazione per accogliere queste persone. Ci sono bambini che razzolano per terra, gente che dorme su bancali di legno. Quando i numeri aumenteranno, come si farà a gestire l’accoglienza di tante persone?». Può bastare il volontariato per affrontare questa tragedia, chiediamo a Pozzi: «Non può essere sostitutivo rispetto alle istituzioni. Cosa accadrà quando tutti questi giovani dovranno fare altre cose? Chi prenderà il loro posto e darà continuità a questo tipo di iniziative? Non possiamo non evidenziare che rispetto a quanto si spende per gli armamenti, quello che si investe per l’accoglienza sono briciole. Il rapporto sarà di cento a uno». Davide D’Onofrio, direttore di Confapi, che insieme al Presidente dell’organizzazione, Carlo Valerio, ha messo insieme questa spedizione, è perentorio: «Mi aspettavo più organizzazione da parte delle istituzioni polacche. Anche rispetto a ciò che leggiamo e sentiamo raccontare dai media. Noi siamo qui per aiutare e siamo a disposizione per fare tutto quello che è nelle nostre possibilità. Resta comunque una certa amarezza nel vedere tutte queste persone vivere in questa situazione che ci auguriamo temporanea. Ma cosa accadrà quando i numeri aumenteranno?». L’appuntamento per scaricare tutto il materiale raccolto grazie alla generosità di tante persone è alle sette del mattino di sabato 19 marzo. Per quella stessa ora è fissato l’appuntamento con il personale della Croce Verde che avrà il delicato compito di condurre una madre con suo figlio piccolo in Italia al più presto, per potere dare ad entrambi le cure di cui hanno bisogno. In questa tragedia che è la guerra, dove è chiaro che la diplomazia non è riuscita a raggiungere l’obiettivo di evitare il conflitto e dove i leader mondiali, quindi anche quelli europei, non stanno certo mostrando il loro lato migliore, a far fronte alla disperazione di tante persone ci pensano i volontari. Perché guardandosi attorno pare evidente che la parte migliore del pianeta è quella che sta soccorrendo sfollati e rifugiati, mentre quella che si sta dimostrando la peggiore e che però comanda, ne causa le sofferenze. C’è qualcosa che non va se nel 2022 siamo ancora costretti ad assistere a certi drammi nella civilissima ed emancipatissima Europa. C’è qualcosa che evidentemente non va se a causa delle armi tanta gente è costretta a fuggire, nel 2022.

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