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Ora è scritto anche nella sentenza: «La morte di Mauro Guerra si poteva evitare»

Nelle motivazioni della sentenza si parla anche dei testimoni, i carabinieri Filippo Vettorato e Stefano Sarto. Smontano la loro ricostruzione degli eventi, «che non aveva nulla a che fare con i fatti, bensì con l'immaginazione»

«Una morte che si poteva evitare». Lo hanno ripetuto in tutte le udienze i due legali della famiglia di Mauro Guerra, Alberto Berardi e Fabio Pinelli, ora è anche scritto sulle motivazioni che spiegano la sentenza del 23 febbraio scorso. Un'udienza, quella svoltasi a Palazzo Grimaldi, sede della Corte d'Appello di Venezia, che aveva riconosciuto responsabile il carabiniere Marco Pegoraro in sede civile e quindi condannato a versare alla famiglia del 32enne ucciso a Carmignano di Sant'Urbano il 29 luglio del 2015, la somma di 260mila euro. In sede penale il militare era invece stato assolto. 

Difesa

Il concetto tante volte espresso dai legali Pinelli e Berardi è ancora più evidente da queso passaggio: «Il maresciallo Pegoraro sin dall'inizio ha creato un clima di ostilità e paura nei confronti di una persona che nulla di male stava facendo, definita da lui "pazza e pericolosa" che doveva essere catturata in ogni modo, ha reso così tragici per Mauro Guerra gli ultimi minuti della sua vita». Queste le parole che si leggono nella motivazioni della corte d'Appello di Venezia. Non solo una morte evitabile, quindi, ma pure aggravata da inadeguatezza e negligenza dei carabinieri. 

Tso

Un altro passaggio importante appare a pagina otto, particolare che è stato raccontato proprio a PadovaOggi dal maresciallo Filippo Billeci, che però non è mai stato ascoltato in nessuna aula. E' scritto anche sulla sentenza che non c'era nessun Tso in corso perché nessuno lo aveva mai richiesto, al contrario di quanto ha sempre sostenuto la difesa dell'imputato, rappresentata dall'avvocato Stefano Fratucello. E anzi si conferma il fatto che proprio Mauro Guerra, prima di darsi alla fuga, finita drammaticamente, aveva richiesto di vedere il mandato o un documento che attestasse che si doveva sottoporre a un Tso. Si era reso quindi disponibile ad assecondare le richieste dei carabinieri. Ma nessuno lo aveva mai richiesto, il Tso. Partendo da questo assunto tutto ciò che accade dopo appare a maggior ragione drammaticamente senza senso. 

Pegoraro

Invece dal che non avrebbe accadere nulla si è arrivati al fatto che anche dopo, a errore, si è sommato un altro errore. E poi ancora un altro e un altro ancora. A negligenza e presunzione si sono sommate altra negligenza e altra presunzione. E non si spiega, perché è difficile anche leggendo la sentenza trarre una conclusione logica rispetto a questo, come il maresciallo Pegoraro invece che al limite intervenire in altro modo, si sia messo a sparare da circa un metro e mezzo di distanza. «Avrebbe potuto fare due passi, aggredire alle spalle il Guerra, bloccandolo». Invece si piega, prende la mira e spara. I giudici scrivono che Pegoraro "sopravvaluta" le sue capacità come tiratore. Inoltre, il carabiniere Stefano Sarto «non è mai stato in pericolo di vita». 

Vettorato e Sarto

Nella sentenza si parla anche dei testimoni, i carabinieri Filippo Vettorato e Stefano Sarto. Smontano la loro ricostruzione degli eventi, «che non aveva nulla a che fare con i fatti, bensì con l'immaginazione». Dal dente rotto a Sarto in pericolo di vita sotto i colpi di Mauro Guerra, viene tutto smontato pezzo per pezzo. Ma i giudici non si sono fermati e qui e hanno anche ripreso l'Arma: «L'imputato non si è neppure scusato coi famigliari, né lui né l'Arma hanno provveduto ad un sia pure parziale risarcimento lasciando ai congiunti dell'ucciso anche l'onere dei funerali». I legali della famiglia Guerra hanno sempre, giustamente, sostenuto che quello all'avvocato Pegoraro non fosse un processo all'Arma, ciò non toglie che qualcosa di meglio si poteva certo fare. 

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