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Lunedì, 29 Aprile 2024

Alla famiglia Tindaci la richiesta delle spese legali mentre i loro avvocati ricorrono ancora in Cassazione: «Evidente caso di malagiustizia»

Le famiglie coinvolte insieme al figlio Mattia nel tragico incidente del 5 aprile 2005 a Riese Pio X chiedono siano loro risarcite le spese legali. L'avvocato Tolomei che difende la famiglia Tindaci: «Tra i paradossi di questa vicenda c'è che gli unici che davvero hanno rincorso la verità e se la sono invece vista negare si trovano costretti a grossi costi per averla inutilmente cercata»

Non è ancora tempo di mettere la parola fine sulla triste e drammatica vicenda dei ragazzi padovani, tutti tra i 17 e i 19 anni, morti tragicamente la notte del 5 aprile 2005 a Riese Pio X, a Treviso. L’auto in cui si trovavano insieme ad altri due amici si schiantò contro un albero: Mattia Tindaci e i fratelli Vittorio e Nicola De Leo morirono sul colpo. Rimasero feriti gli altri due che si trovavano in auto con loro: Francesca Volpe, unica maggiorenne con la patente e la cui macchina era di proprietà del padre, e Alessandro Faltinelli. Chi era alla guida è il nodo attorno al quale ruota tutta la vicenda. Per i genitori di Mattia non era lui alla guida e lo dimostrerebbero le foto dell'incidente, poi misteriosamente scomparse dal fascicolo delle indagini custodito negli uffici della Polizia Locale di Treviso. Poi c’è la questione legata all'esame del Dna che è stato fatto sulle uniche due tracce di sangue all’ interno dell’auto, una sulla cintura di sicurezza ed una sulla parte posteriore del sedile guidatore e non erano di Mattia come verifica la perizia della dottoressa Caenazzo di medicina legale di Padova. Ma non si è voluto andare oltre. E se non bastassero le foto sparite e l’esame del Dna, mai è stato preso in considerazione di sentire chi si è trovato per primo di fronte a quella tragedia, un medico, il dottor Paolo Tognato che noi di PadovaOggi siamo riusciti a rintracciare e intervistare. Una testimonianza che potrebbe essere decisiva ma che nessun tribunale o giudice ha voluto mai ascoltare vista anche la precisione con la quale ci ha descritto quella scena ci si interroga sul perché non sia mai avvenuto. Anche per questo i legali dei Tindaci si sono rivolti alla Corte di Cassazione che però proprio a inizio di quest’estate ha respinto per dei presunti vizi, il ricorso degli avvocati Francesca e Vieri Tolomei.

«Il 21 luglio di quest'anno - spiegano i due legali - abbiamo rinotificato un ricorso per revocazione dove siamo andati ad impugnare l'ultima sentenza emessa dalla Corte di Cassazione sul caso Tindaci che ha esaminato entrambi i ricorsi che erano stati presentati dai legali della famiglia. «Abbiamo impugnato la sentenza rilevando degli errori formali perché non sono stati esaminati dei punti fondamentali per la decisione, ritendendo che questi non fossero stati riportati e di conseguena esaminati. In realtà dalla lettura degli atti emergeva come noi avessimo proprio chiesto la trattazione puntuale di questi aspetti. In particolare non erano state prese in considerazioni delle istanze istruttorie fondamentali e non era stato dato il giusto peso alla richiesta ad esempio della prova del Dna che in Corte d'Appello era ancora possibile esaminare. Era possibile confrontare le tracce di sangue rinvenute a suo tempo facendo un esame anche con i genitori dei ragazzi deceduti per vedere se quelle tracce corrispondessero a quelle rinvenute nella cintura del conducente. Questi punti sulla revocazione erano stati evidenziati mentre la Corte di Cassazione sostiene non sia accaduto. Abbiamo quindi rilevato questo aspetto». Cosa dovrebbe accadere ora, chiediamo ai legali della famiglia Tindaci. «Adesso ci aspettiamo che la Corte verifichi che ci sia stato questo errore e che la esamini almeno nel merito. E' stato detto che certo vizi non erano stati correttamente denunciati, mentre invece lo erano, quindi la Corte si è limitata semplicemente a ritenere inammissibili, non si è entrato nel merito delle violazioni. Questo invece avrebbe dovuto avvenire. Riteniamo non ci fossero ragioni serie per rigettare i ricorsi, quindi sono stati dichiarati inammissibili per non voler entrare nel merito della vicenda».

Definirla una vicenda di malagiustizia può certo far storcere il naso a qualcuno ma quello al quale si sta assistendo non da l’idea che chi ne avrebbe dovere e facoltà abbia fatto tutto il suo meglio per far emergere come davvero sono andati i fatti quella notte. Se è vero che la giustizia ha i suoi meccanismi e i suoi tempi, oltre che le sue regole, e che i processi non si fanno certo sui media, è anche vero che sono troppi gli aspetti di questa storia che non sono chiari. Basterebbero i tre motivi sopra citati per far venire qualche dubbio perfino ai più distratti, che forse le cose non sono state fatte come si sarebbe dovuto. A partire da quella notte, dalle ore successive al decesso dei tre giovani. Sono troppi ancora i punti interrogativi. Di questa faccenda dolorosissima c’è chi ha voglia di mettere la parola fine e chi invece non ne ha proprio intenzione di arrendersi a una verità processuale che invece di fugare i dubbi, li alimenta. Intanto le famiglie delle altre persone coinvolte nell’incidente hanno chiesto alla famiglia Tindaci il denaro per pagare le spese legali. Lo hanno fatto sia i De Leo che l’allora proprietaria dell’auto Francesca Volpte che Alessandro Fantinelli, che di certo era quello tra tutti i presenti in quell’auto, che Mattia lo conosceva meglio tanto da sottoscrivere, pochi giorni dopo i fatti, un documento scritto personalmente a penna e firmato in cui dichiarava che Mattia non era alla guida e che mai lo aveva visto guidare perché era una cosa che non gli interessava. Visto che poi la questione ruota tutta attorno a chi fosse alla guida, è evidente che qualsiasi cosa accade in questa vicenda non fa altro che alimentare dubbi che magari alla fine potrebbero risultare anche infondati, ma che proprio per interrompere questa catena dolorosa sarebbe ora che chi ne ha la facoltà si assumesse la responsabilità di fugarli una volta per tutte.

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