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Cronaca

Il legale della famiglia Tindaci: «Vogliamo solo la verità e la otterremo in aula. Ma non accettiamo insinuazioni»

La famiglia Tindaci sceglie il silenzio e non risponde al professor De Leo al quale replica l'avvocato Vieri Tolomei: «Cerchiamo solo la verità e non uno scontro tra famiglie. Nell'interesse di tutti»

L’avvocato Vieri Tolomei è il legale della famiglia Tindaci. Tocca a lui dimostrare che non c’era Mattia al volante dell’auto quella notte, il 5 aprile del 2005. 

Fotografie

Negli ultimi giorni la famiglia De Leo ha rilasciato delle dichiarazioni alla stampa. In una intervista alla Tg Rai regionale le loro parole non sono state troppo gradite dal legale. Con riferimento alla questione delle fotografie sparite dagli archivi della polizia stradale di Treviso, il professor De Leo padre degli altri due ragazzi scomparsi tragicamente quella notte, ha detto che questo tipo di informazioni «saltano sempre fuori quando ci sono vicende processuali». 

Il legale della famiglia Tindaci

«Contesto questa visione, la causa civile è fondatissima. Il professor De Leo - spiega l’avvocato della famiglia Tindaci - insinua che l’iniziativa  di denunciare la polizia stradale per la perdita o sottrazione delle fotografie sia strumentale per la causa civile nella quale, a suo modo di vedere, ci sentiremmo deboli. Io devo contestare assolutamente questa visione, la causa civile è fondatissima e in appello contiamo di rovesciare completamente la sentenza di prima grado e non abbiamo nessuna necessità di un esito di un processo penale nei confronti della polizia che comunque non ci darebbe mai le prove che sono state a sue tempo sottratte». 

Prove

«Noi sappiamo già - prosegue l’avvocato Vieri Tolomei - dobbiamo utilizzare le prove che abbiamo e che sono già ampiamente sufficienti per ribaltare la sentenza di primo grado. Mi spiace che si debba ricorrere a queste piccole insinuazioni che non corrispondono alla realtà. Questo studio è peraltro estraneo a qualsiasi iniziativa sul piano penale». 

Stampa 

Nella giornata di martedì 19 poi sono usciti su due quotidiani, uno di Padova a e uno di Teviso, dichiarazioni del professor De Leo e ricostruzioni in cui vengono citati dei particolari che però, gli atti giudiziari, hanno già rivelato come non corrette. La notizia dell’auto piena di sangue è smentita in modo categorico dall’esame del Dna della dottoressa Caenazzo, che certifica che c’erano solo due tracce ematiche all’interno dell’auto. Sulla questione invece, sempre citata dal professor De Leo, della numerazione delle salme, anche in questo caso, gli atti parlano chiaro: i vigili del fuoco hanno estratto i corpi, per primo il guidatore e poi i due ragazzi seduti dietro. Li hanno numerato ed al guidatore è stato assegnato il numero 1 , il 2 e il 3 agli altri. In obitorio Mattia aveva il numero 3. In tanti famigliari accorsi all’obitorio lo hanno visto e lo confermano con dichiarazione depositate agli atti sia nel procedimento penale che in quello civile. Il numero 3, sul corpo di Mattia, è rimasto fino a metà mattina ed altre persone l’hanno visto e confermato, sempre con dichiarazioni depositate. La famiglia De Leo invece sostiene che quel numero fosse stato assegnato al figlio Nicola, estratto per ultimo a detta dei genitori.

Famiglie contro? No, bisogno di verità

Ridurla a una guerra tra famiglie non solo non è un buon servizio alla verità ma lede la memoria di tutti quei ragazzi coinvolti. Meritano sia scritta la parola fine su tutta questa vicenda terribilmente dolorosa e lacerante. Loro come i loro genitori. Solo la verità e il raggiungimento di essa può mettere la parola fine a tutta questa ulteriore sofferenza.

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