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Giordani, Israele, la guerra e la solidarietà a senso unico che non è un segno di pace

E' un difficile esercizio da fare, ma provare a porsi, di fronte alle guerre e ai conflitti, al di fuori delle parti, sarebbe alquanto utile. A maggior ragione se si coprono ruoli istituzionali

«Il sindaco Sergio Giordani e l’assessora alla pace, diritti umani e cooperazione internazionale Francesca Benciolini, hanno incontrato la sera di martedì 10 ottobre, nella sede della Comunità  Ebraica di Padova il presidente della Comunità, Gianni Parenzo, con la vicepresidente Gina Cavalieri Sacerdoti e Gavriel Sacerdoti per trasmettere a tutta la Comunità la vicinanza della città di Padova sconvolta dalla violenza terrorista di Hamas che ha ucciso centinaia di civili tra cui molte donne e bambini. Il sindaco Giordani e l’assessora Benciolini, nell’esprimere la propria solidarietà hanno sottolineato come la condanna non può che essere totale per ogni forma di terrorismo, razzismo e violazione dei diritti umani». Con questa nota l'amministrazione comunale ha comunicato la visita compiuta in serata per portare la solidarietà della città, dice proprio così, al popolo d'Israele in questi drammatici giorni. Hanno lasciato sgomenti le immagini del raid degli uomini di Hamas fuori dalla Striscia. Più quelle che la reazione israeliana, ancora contenuta rispetto a quanto di certo accadrà. 

L'analisi

E' un difficile esercizio da fare, ma provare a porsi, di fronte alle guerre e ai conflitti, al di fuori delle parti, sarebbe alquanto utile. A maggior ragione se si coprono ruoli istituzionali. Chi è stato in scenari di guerra sa bene che semplificare, etichettare, prendere le parti, è certamente la cosa più facile, ma alla distanza mostra tutti i suoi limiti. Così, la politica nostrana, quella della nostra città senza andare tanto in là, si schiera tutta da una parte, dimostrando non solo una visione parziale, ma pericolosamente miope rispetto a quanto sta accadendo tra israeliani e palestinesi. Che lo facciano i partiti è un conto, che arrivi dal Palazzo è però un'altra cosa. Se nella prima Repubblica la questione palestinese era trattata con una certa attenzione e sensibilità, con l'avvento della seconda le posizioni si sono capovolte e il sostegno nazionale è da quel momento stato tutto per lo Stato d'Israele. Questo passaggio ha imposto una narrazione a senso unico, che vede anche nell'uso dei termini, delle parole, una sintomatica e chiara presa di posizione. A Gaza le persone decedute sotto i bombardamenti sono morte, ma se si tratta di israeliani viene detto e scritto che sono stati uccisi. Sottigliezze che però hanno determinato l'annullamento di una qualsiasi visione critica al governo di Benjamin Netanyahu quando anche una gran fetta di società civile israeliana ne contestava misure, decisioni e politiche. Sabato 11 marzo scorso, tanto per fare un esempio, in piazza a Tel Aviv c’erano circa 500mila manifestanti a protestare contro il Governo e nei mesi successivi ci sono state altre proteste con numeri record per gli stessi motivi. Un periodo caratterizzato da una serie di attacchi contro i palestinesi della città di Huwara e dei villaggi di Burin, Assira al-Qibliya, Beit Firuk, Za’tata e Beita, con i coloni che avevano dato alle fiamme decine di automobili, abitazioni e frutteti e aggredito palestinesi con mazze di metallo e pietre provocando un morto e 400 erano feriti. Civili. Due facce dello stesso paese. Una che critica modalità ed espansione dell'occupazione oltre che provvedimenti che accentrerebbero ancora più il potere su poche persone, dall'altra gli estremisti vicini al Governo che agiscono impuniti. Nel silenzio della comunità internazionale. 

Il ruolo dell'Arabia Saudita

Lasciando da parte tutti i ragionamenti geopolitici che si possono fare in un momento come questo, il ruolo dell'Arabia Saudita che si era offerta come mediatrice tra i due con una delle due parti che però oggi non rappresenta nessuno, il presidente palestinese Abu Mazen, o quello del Qatar che invece foraggia Hamas, dell'Iran e tutto il resto, chi paga i conti di vent'anni di silenzio è da ogni lato la popolazione civile. Lasciar fare non poteva che portare a quello a cui, spesso distrattamente dagli smartphone, stiamo assistendo. E' sempre così in guerra. Non si è considerata la frustrazione e la rabbia repressa, soprattutto nelle nuove generazioni nate dopo la morte di Arafat e la dissoluzione dell'Olp, e che hanno sempre vissuto in quella grande gabbia che è la Striscia di Gaza. Una prigione a cielo aperto dal 2007. Ci vivono due milioni e trecentomila persone, che verosimilmente nei prossimi giorni subiranno la reazione d'Israele, quindi bombe, che è comunque già cominciata registrando già numeri importanti per quanto riguarda le vittime. Nel frattempo, a Gaza, sono anche senza acqua e luce. 

La "nostra" politica

Cosa faranno i nostri rappresentanti poltici istituzionali se la risposta d'Israele dovesse essere quella che tutti si aspettano? Se Gaza venisse rasa al suolo, è una possibilità magari remota ma non inverosimile, che si direbbe? La guerra, soprattutto quando si toccano punti di non ritorno come in questo caso, può solo provocare violazioni di diritti umani, distruzione, morte, alimentando già sedimentato odio e conseguente sete di vendetta, come stiamo vedendo. Siamo davvero certi che è la cosa giusta da fare, per un'amministrazione comunale, in situazioni come queste, schierarsi senza se e senza ma, per una parte? Non bisognerebbe forse essere più prudenti? Possibilità che naturalmente vengono azzerate se si è certi che ci sia una sola verità, una sola ragione, anche quando a morire sono per lo più civili, da entrambe le parti.

La comunità ebraica e Parenzo

Qualche settimana fa, in uno dei programmi radiofonici più ascoltati che porta il nome di un fastidioso insetto, dove è indispensabile per chi partecipa, come anche per chi conduce, avere una spiccata indole reazionaria, uno dei due conduttori, figlio del capo della comunità ebraica padovana, David Parenzo, a fronte di una osservazione di un ascoltatore ha commentato che la Palestina è Gaza. Ha detto propri così, un'affermazione netta che anche cambiando l'ordine dei fattori da lo stesso risultato, cancellando pure quel poco che resta della West Bank, andando quindi anche ben oltre la visione più ottimistica della fronda più oltranzista presente tra i coloni israeliani. Se si è arrivati a questo punto nella crisi, è proprio per questo tipo di posizione estremiste. Sappiamo bene che le colpe dei padri mai devono ricadere sui figli, figuriamoci affermazioni o opinioni, ma ci aguriamo comunque che il capo della comunità ebraica abbia una visione diversa sull'annosa questione dei "confini", risolta evidentemente a favore di una sola parte, rispetto al popolare figlio. Se così fosse, la visita del sindaco e dell'assessora alla pace potrebbero essere interpretate non solo come un messaggio di cordoglio ma anche di assenso e o addirittura compiacimento alle certe ritorsioni che aspettano la popolazione della Striscia. Donne e bambini compresi, com'è accaduto proprio nella giornata di ieri, 10 ottobre, con i bombardamenti sul valico che divide Gaza con l'Egitto affollato di persone inermi quanto i giovani che ballavano al rave in Israele, felici e inconsapevoli di quanto di terribile stava loro per accadere. Il prodotto di estremismi che si alimentano tra loro e che producono tragedie riguardo le quali forse sarebbe più prudente prendere le distanze, piuttosto che solidarizzare senza nessuna obiezione. 

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