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Il Garante dei detenuti: «Il carcere non può più essere una discarica sociale»

Antonio Bincoletto: «Le persone che si suicidano, col loro gesto mostrano di non aver trovato nel carcere speranza, opportunità di recupero e cura, ma anche di non sopportare la fatica del ritorno nel mondo fuori. Tante erano persone giovani e vicine alla fine della pena»

Per denunciare questa situazione e richiedere un’energica iniziativa che affronti l’emergenza e, più in generale, il problema delle carceri in Italia, la Conferenza Nazionale dei Garanti Territoriali indice una giornata di sensibilizzazione per il 18 Aprile, invitando tutti i garanti ad intraprendere iniziative nel proprio ambito e a leggere alle ore 12 i nomi delle persone che hanno posto fine alla loro vita in carcere. Il Garante di Padova, Antonio Bincoletto, parteciperà nell’auditorium della Casa di Reclusione Due palazzi ad un incontro con studenti, docenti, volontari e detenuti previsto nell’ambito del progetto scuola/carcere (“A scuola di libertà”) organizzato dall’Associazione “Granello di senape”. Intorno alle ore 12 verrà data lettura del comunicato della Conferenza Nazionale dei Garanti Territoriali e dell’elenco dei nomi delle persone che sono morte per suicidio dall’inizio dell’anno nelle carceri italiane.

«La situazione delle carceri italiane negli ultimi mesi sta peggiorando. Dall’inizio del 2024 fra i reclusi vi sono già stati più di 30 suicidi accertati, oltre a diverse morti per altre cause, in molti casi ancora da accertare. Il tasso dei suicidi fra le persone detenute è ormai 20 volte superiore rispetto a quello delle persone libere, e anche fra il personale della polizia penitenziaria il tasso suicidiario (4 casi finora nel 2024) è molto più alto rispetto a quello di altre categorie di lavoratori. Nell’intero 2023 il numero di morti autoinflitte nel  carcere era stato di 65 fra i detenuti; nel 2024, dopo tre mesi, abbiamo raggiunto quasi la metà di quella cifra e, se il fenomeno procedesse a tale ritmo, si rischierebbe di raddoppiare il numero di suicidi rispetto all’anno precedente. Perché accade? Possiamo considerarlo un fatto endemico e inevitabile?», si domanda Antonio Bincoletto. 

«I nostri Istituti penitenziari sono sempre più affollati: abbiamo superato di oltre il 20% la capienza regolare e ci stiamo riavvicinando alla situazione che nel 2013 portò la Corte Europea dei Diritti Umani a condannare il nostro Paese per le condizioni detentive riservate alle persone recluse. Il personale a tutti i livelli è al di sotto dell’organico previsto e necessario; per questo agenti, amministrazione, educatori, psicologi, mediatori, operatori sanitari, magistrati di sorveglianza e cancellieri si trovano spesso in affanno nel gestire la quotidianità, e ciò comporta sofferenza aggiuntiva anzitutto per chi è recluso e difficoltà nel realizzare percorsi trattamentali virtuosi e di recupero attraverso lo studio, il lavoro, le altre attività che l’ampia rete di volontariato nonostante tutto continua ad offrire. Se poi guardiamo alla composizione sociale della popolazione carceraria vedremo che per un 30% circa si tratta di persone con dipendenze da sostanze, per un altro 30% circa di persone con nazionalità straniera, in molti casi con problemi sanitari e psichiatrici e in stato di indigenza. Carcere come “discarica sociale” dunque, in carenza di politiche assistenziali preventive ed efficaci nel territorio».

Il garante, in merito al Due Palazzi, dice: «Va detto inoltre che, dopo un’iniziale apertura alle telefonate quotidiane e alle videochiamate avvenuta nel periodo della pandemia, si è tornati in molti casi al regime precedente (10 minuti alla settimana) e molte sezioni che prima erano state “aperte” (con possibilità di spostarsi dalle celle nei corridoi e nelle sale comuni) ora si trovano ad essere richiuse e chi non svolge attività si trascorre buona parte della giornata isolato nella propria cella», puntualizza. «In un quadro di questo tipo si può facilmente capire come e perché una persona possa giungere alla scelta estrema, specie se lasciata in condizione di inerzia e priva di adeguati supporti, con la prospettiva di ritrovarsi, una volta fuori, al punto di partenza se non peggio. Le persone che si suicidano, col loro gesto mostrano di non aver trovato nel carcere speranza, opportunità di recupero e cura, ma anche di non sopportare la fatica del ritorno nel mondo fuori. Tante erano persone giovani e vicine alla fine della pena».

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