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Cronaca Monselice

Con i contributi del "Decreto Ristori" facevano viaggi in hotel di lusso

Un'azienda "fantasma" di macellazione di carne a Monselice era la base logistica per intascare impropriamente contributi ed emettere fatture false. Tre cittadini napoletani sono stati indagati in concorso dalle Fiamme Gialle

Con i soldi truffati allo Stato in periodo di pandemia aiutavano aziende amiche nel pagamento delle tasse e si concedevano soggiorni prolungati in hotel di lusso. Tra il 25 e il 28 febbraio si sono concluse le indagini preliminari, condotte dai Finanzieri del Comando Provinciale di Padova sotto la direzione della locale Procura della Repubblica, nei confronti di tre persone di età comprese tra i 40 e i 50 anni residenti in provincia di Napoli, indagate, in concorso e a vario titolo, in ordine a reati tributari, fallimentari, societari e a un’ipotesi di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, in qualità di amministratori di fatto e di diritto di una società operante nella provincia di Padova nel settore dell’allevamento e del commercio di bovini e carne da macello.

L'attività investigativa

Nel dettaglio, le articolate attività investigative delle Fiamme Gialle della Compagnia di Este, coordinate dal capitano Matteo Bocola, durate oltre un anno, sono partite da una verifica fiscale conclusa nei confronti di un'impresa del comune di Monselice, all’esito della quale è stata proposta per il recupero a tassazione un’imposta evasa di oltre 6 milioni di euro. Inoltre, nel corso dell’ispezione sono stati svolti approfondimenti in merito a tre finanziamenti, pari a 200 mila euro, erogati nell’ambito delle misure di sostegno all’economia, colpita dalla crisi derivante dalla pandemia da Covid – 19. In particolare, è stato rilevato che la società oggetto di indagine, ritenuta priva di struttura aziendale, ha prima beneficiato dei contributi del “Decreto Rilancio” e, a seguito dell’introduzione di nuove misure volte al sostegno di determinate categorie economiche, il “Decreto Ristori” e il “Decreto Natale”, avrebbe simulato lo svolgimento di un’attività di ristorazione, senza di fatto mai esercitarla. Tali disponibilità finanziarie non sarebbero state destinate alle finalità previste dalla normativa emergenziale, ma, dopo essere state indebitamente percepite, sarebbero state interamente trasferite, mediante bonifici bancari, su conti correnti in Lituania e Polonia.

Il prestanome

Nel corso di ulteriori accertamenti nei confronti dell'azienda di Monselice è stato riscontrato che le quote di tale società sono state cedute nel 2018 dai precedenti soci a un soggetto diverso, sempre napoletano, divenuto anche rappresentante legale e considerato mero prestanome di due fratelli campani. A partire da quell’anno, i tre indagati avrebbero dapprima apparentemente rafforzato la situazione economico-finanziaria della società in parola con un aumento del capitale sociale da 10 mila a 750 mila euro mediante l’utilizzo di riserve disponibili ritenute fittizie, al solo fine di offrire al mercato e agli istituti di credito un’immagine florida della stessa, e successivamente avrebbero collocato l’impresa in un meccanismo evasivo destinato a favorire numerose società con sede nella provincia di Napoli. Infatti, secondo l’ipotizzato schema della “frode carosello”, il soggetto economico sarebbe stato interposto, in qualità di “impresa cartiera”, nelle operazioni di compravendita di prodotti provenienti dall’Unione Europea, assoggettate a uno specifico regime I.V.A., favorendo l’evasione della suddetta imposta, sistematicamente non versata all’atto della successiva cessione all’acquirente finale sul territorio nazionale, che comunque maturava il diritto alla detrazione. L’importo delle vendite ricostruite, riconducibili a tale meccanismo, ammontava a oltre 3 milioni di euro.

Il fallimento

Le irregolarità sopra illustrate avrebbero anche favorito il dissesto dell’impresa, poi dichiarata fallita. Nello specifico, è stata ipotizzata la distrazione di beni e valori in danno dei creditori, in quanto non sarebbero state rinvenute 13 autovetture concesse in leasing o in locazione all’azienda decotta e disponibilità finanziarie per
quasi 195 mila euro, in parte trasferite su conti correnti esteri, in parte utilizzate per il pagamento di spese estranee all’attività sociale oppure impiegate per il versamento delle imposte dovute da terzi. Gli amministratori avrebbero omesso, altresì, la tenuta delle scritture contabili obbligatorie, rendendo più complessa la ricostruzione
di tali operazioni. La valorizzazione di tutti gli elementi investigativi raccolti, acquisiti attraverso accertamenti bancari e dichiarazioni rese da persone informate sui fatti, ha consentito all’autorità giudiziaria di formulare le imputazioni sopra descritte a carico di due amministratori di fatto e uno di diritto.

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