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Studio epidemiologico effetti Pfas: le associazioni accusano, la Regione si difende

A scatenare una nuova polemica le dichiarazioni rese in aula di tribunale durante il processo Miteni da Pietro Comba, già responsabile del Dipartimento di Epidemiologia Ambientale dell’Istituto Superiore di Sanità che parla di studio mai avviato nonostante gli accordi presi. Ma non c'è solo la Miteni, sarebbero 54 solo nel padovano i siti a rischio contaminazione

Quello dell'inquinamento da Pfas è un tema che coinvolge non solo i cittadini veneti e in particolare quello tre province che l'hanno subito a causa della Miteni di Trissino, ma tutta Europa. Le mamme No Pfas sono per questo state anche a Bruxelles per chiedere leggi più severe e maggiori restrizioni se non addirittura il bando per certe sostanze fortemente inquinanti. Se quello della Miteni è il caso più clamoroso, che ha coinvolto soprattutto le province di Vicenza, di Verona e di Padova, in Europa ci sarebbero altri 17 mila siti contaminati, 1.600 dei quali proprio nel nostro paese. 54 di questi proprio nel padovano. Lo dice uno studio commissionato da Le Monde che ha fatto partire una seirie di proteste e di iniziative in tantissimi paesi. Lo Pfas continua quindi a preoccupare e a fare discutere. Per questo la Regione Veneto, in seguito ad una serie di articoli e servizi usciti anche sui media nazionali, è intervenuta con un comunicato ufficiale per rispondere in particolare alla polemica che si sta alimentando in seguito alla dichiarazione che ha rilasciato il dottor Pietro Comba, già responsabile del Dipartimento di Epidemiologia Ambientale dell’Istituto Superiore di Sanità. Proprio durante l'ultima udienza del processo alla Miteni ha spiegato che «tutto era pronto per la firma di un accordo tra la Regione del Veneto e l’Istituto Superiore di Sanità. Due anni di rapporti, una bozza di intervento poi, nel 2018, poi più nulla». In seguito a quanto sentito in aula una serie di critiche arrivate da rappresentanti di Isde, i medici per l'ambiente, ma anche le "Mamme no Pfas" e altre associazioni del territorio chiedono chiarimenti riguardo lo studio epidemiologico che da tempo è al centro di una strana disputa. Per i sopra citati lo studio non sarebbe mai partito, per la Regione invece ne sarebbero stati condotti non uno ma diversi altri, come effettivamente ribadiscono anche nella nota. 

Riguardo l'esposizione a sostanze perfluoroalchiliche (PFAS), la Direzione Prevenzione, sicurezza alimentare, veterinaria della Regione «ribadisce che sono numerose le indagini epidemiologiche promosse dalla Regione, in uno sforzo importante e sinergico anche con le massime autorità in ambito sanitario del Paese, oltre che con i rappresentanti della comunità scientifica. Sin dalle prive evidenze dell’inquinamento la Regione ha avviato una serie di azioni, - molte delle quali per rigore e tempestività mai intraprese in Italia con modalità paragonabili - per dare risposte all’emergenza; contestualmente sono stati richiesti dalla Regione numerosi approfondimenti scientifici di alto profilo, molti dei quali tutt’ora continuano. Parte di queste ricerche sono state svolte direttamente dalle strutture regionali competenti, altre invece sono state condotte da autorevoli istituti di ricerca, come l’Istituto Superiore di Sanità e l’Università degli Studi di Padova, grazie a finanziamenti regionali. Un panel di esperti di assoluto rilievo», spiegano dalla Regione. «Il confronto con l’Istituto superiore di sanità è continuo: sono state avviate tutte le attività di valutazione epidemiologica e di valutazione di esposizione del rischio ritenute necessarie dalla comunità scientifica e dalle strutture della sanità nazionale. I risultati, man mano, sono stati divulgati e resi disponibili alla popolazione. L’impegno della Regione Veneto è proiettato anche al futuro: saranno portati avanti tutti gli ulteriori approfondimenti epidemiologici che si dovessero ritenere da attuare, su indicazione dall’ISS o del Ministero della Salute.È inoltre palesemente falsa l’affermazione riportata da alcuni quotidiani secondo cui lo “screening di massa” sulla popolazione esposta non sarebbe mai decollato. Infatti, come ampiamente noto, a gennaio 2017 ha preso avvio il Piano di sorveglianza sanitaria a cui si è già accennato sopra, con uno sforzo organizzativo ingente da parte della Regione e delle Aziende sanitarie. La prima tornata di inviti si è conclusa a giugno 2023 con più di 64.000 persone sottoposte a screening. Attualmente, è in corso la seconda tornata di inviti (più di 16.000 persone esaminate finora)», assicurano.

Dalla Regione spiegano che le attività di approfondimento epidemiologico si sono dipanate lungo diversi filoni. Quello del biomonitoraggio umano attraverso uno studio coordinato dall’Istituto superiore di Sanità negli anni 2015-2016 e un piano di sorveglianza sanitaria sulla popolazione esposta (DGR 2133/2016 e ss.mm.ii.) e sui lavoratori della ditta RIMAR-MITENI (DGR 1191/2017, DGR 1495/2019); studio di biomonitoraggio sul comune di Trissino (DGR 801/2021). Sono stati inoltre commissionati studi sul profilo di salute della popolazione esposta in relazione a mortalità, prevalenza di patologie cronico-degenerative, incidenza di tumori, esiti materno-infantili e altri ancora. «I rapporti tecnici - rendono noto dalla Regione - delle indagini effettuate sono reperibili sul sito Internet istituzionale della Regione del Veneto (https://www.regione.veneto.it/web/sanita/pfas-popolazione-esposta). I risultati sono inoltre più volte presentati sia attraverso la stampa che in incontri ad hoc.Le attività di ricerca hanno prodotto numerose pubblicazioni scientifiche su riviste specializzate, che hanno contribuito alle conoscenze della comunità scientifica internazionale sugli effetti sanitari delle sostanze PFAS. Si riporta in calce l’elenco completo in ordine cronologico delle pubblicazioni scientifiche, reperibili attraverso motori di ricerca specializzati (es. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/)».

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